Abominio

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    La stavano seguendo? Non avrebbe potuto dirlo con certezza. Ma aveva smesso di voltarsi indietro per controllare. Riuscivano sempre a trovarla, alla fine, in un modo o nell'altro. E allora aveva deciso che se ne sarebbe occupata sul momento invece di allarmarsi anche solo per qualche sguardo di troppo. Aveva questioni più urgenti su cui concentrarsi, come quella di ricordare se stessa. Qualsiasi cosa di se stessa. Ma non c'era nome che suscitasse il minimo ricordo, che la tirasse fuori da quel buco nero stagnante della sua memoria danneggiata. Non aveva nome, non aveva origini e non era neanche più umana. Era prigioniera di un corpo di carne e sangue che aveva smesso di patire le debolezze mortali; un vantaggio per certi versi, ma un'agonia per altri. Perchè quella era una condizione che annichiliva la maggior parte delle sensazioni, come poteva essere la carezza gelida della pioggia che le si stava riversando addosso. Non riusciva già più a ricordare com'era rabbrividire: era attanagliata da un gelo diverso, uno interiore, che la scavava dentro ad artigliate profonde. Lasciandola vuota, arida. Inerme. Forse, con quel temporale, costretti ad affrettarsi per strada e a coprirsi sotto gli ombrelli, con lo sguardo basso, non si sarebbero accorti dei dettagli più agghiaccianti di lei. Del suo passo troppo rigido, così privo di elasticità da rasentare la disumanità, o dell'immobilità del suo petto che si è dimenticato di cercare ossigeno; di come la lacera e fradicia maglietta, troppo leggera, le aderisce addosso senza neanche strapparle un brivido. Ma sotto la visiera del berretto, sono i suoi occhi troppo chiari, traslucidi come vetro, ad avere qualcosa di sbagliato. Con una fissità sinistra di chi non ha neanche bisogno di battere le ciglia e privi di un' espressività influente: era come incrociare lo sguardo vitreo di un cadavere. Ha l'aspetto di una clochard, con l'inesorabile fetore addosso delle strade, che non si prende mai la briga di ripulire: è un buon deterrente per tenere alla larga i più curiosi. Non ha armi, che non siano quelle più pericolose che la sua nuova natura le ha concesso, tempo addietro. Ha le tasche vuote, e a farle compagnia è solo la propria ombra, mentre avanza alla scoperta di una Tremè notturna lucida di pioggia. Non ha orecchio per il soul o il jazz di cui va così fiera quella città, è sintonizzata su un'altra musica, sul ritmo cardiaco di ogni passante, concentrata ossessivamente su un altro richiamo: quello del sangue. Che la costringe a tenere le labbra serrate mentre i canini spingono contro le gengive, senza mai farle ignorare l'unica cosa che vorrebbe realmente dimenticare: la propria maledizione. Neanche il fascino di New Orleans sembra distrarla. C'è qualcosa in quella città di vagamente familiare che le impedisce di lasciarsela alle spalle come ha fatto con tutte le altre. E una sensazione a intermittenza che si alterna alla costernante consapevolezza di estraneità che le provoca più di un qualche subbuglio mentale. Gli odori, i colori, le insegne, i volti scuri e i sorrisi bianchi non le dicono assolutamente nulla. E lei continua a inseguire chissà cosa su quel marciapiede, indizi immaginari che non portano a niente. O in un vicolo, in quel caso. Finisce sempre in quelli più bui, ed è inevitabile quando si prende l'abitudine di evitare i lampioni più luminosi. E qualsiasi luce artificiale possa sfiorare la sua pelle diafana. E poi lo sente finalmente. Un miagolio. Quello che davvero l'ha attirata lì, come un grido di aiuto straziante. Non le ci vuole molto per inquadrare una minuscola palla di pelo fradicia, tremante sotto la pioggia, che arranca con fatica, alla ricerca di un riparo. E' solo un gatto striato, di pochi mesi, che non deve aver avuto fortuna. Miagola con disperazione, affamato e stremato. Abbandonato. Proprio come lei. E forse è quello a spingerla a farsi avanti, a smuoverle qualcosa dentro, e neanche se ne rende davvero conto di essersi mossa verso di lui. Che inizia a miagolare con più strazio, probabilmente consapevole di avere a che fare con un predatore sanguinario a cui cerca di sfuggire, per istinto. < Non voglio farti del male > Ma è solo un bisbiglio freddo, che esce fuori rauco, raschiante e tutt'altro rassicurante. Con le corde vocali arrugginite, di chi non è più abituato a parlare poi molto, il proprio sussurro suona inquietante persino alle proprie stesse orecchie. Quando raccatta il randagio, sollevandolo tra i propri palmi, lo fa con l'idea sciocca di volergli dare calore e conforto, dimenticandosi di quanto sia gelida quanto la pioggia stessa che sta inzuppando entrambi. < Va tutto bene > Forse, se lo accarezza smette di tremare. Ma non è solo il randagio ad avere un disperato bisogno di aiuto, anche lei desidera il conforto di un'altra creatura. Un contatto. E qualunque cosa possa alleggerire il peso devastante della sua solitudine. Non deve temere un gatto. Che tra le sue dita sembra così fragile, inerme. E allora passa le dita tra il suo pelo bagnato, smorzando i suoi miagolii. Definitivamente. Perchè lo stringe troppo forte, esercitando una pressione involontaria che gli frantuma le fragili costole della cassa toracica senza neanche concedergli il tempo di un lamento. Così come non riesce a controllare la sete, non sa farlo neanche con la propria forza sovrumana, e quelli sono i tragici risultati. Si agghiaccia per lunghi istanti, forse sperando di sentire ancora il suo piccolo e tachicardico battito, il suo respiro. Ma il piccolo randagio resta inerme tra le sue dita assassine. Non serve neanche scuoterlo un poco, in una reazione incredula, aspettando di vederlo risvegliarsi. E resta così, per lunghi minuti, semplicemente a guardarlo. < Abominio > Non il gatto. E' un'accusa alle proprie mani, un giudizio definitivo che rivolge solo a se stessa, impietoso. E alla fine lo lascia semplicemente andare, allargando le dita, abbandonandolo al buio del vicolo. Da cui si allontana, senza voltarsi indietro, con lo sguardo basso. Quando lo risolleva, inquadra una chiesa. I passi l'hanno portata lì, davanti la St. Augustin Catholic Church. Come un segno, un presagio. O un monito. E allora non le resta che proseguire verso le sue porte, per scoprire se una qualche ira divina si abbatterà su di lei.
     
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    Si ferma l'Ansabosam, s'inchioda prima di essere travolta da una coppia fuggiasca. Le passano davanti, ridendo. Due creoli, un ragazzo e una ragazza che si tengono per mano, sfidando la pioggia senza ombrello. Sembrano così spensierati, con i loro cuori martellanti di eccitazione. Devono essere due innamorati che non sembrano avere occhi per nient'altro se non l'uno per l'altra. Chissà se lo sanno loro quali creature passeggiano vicino a loro. E quante infestano la loro bella New Orleans. Lei li sente, li percepisce come sferzate di sensazioni che scudisciano la sua apatia. E' consapevole della loro esistenza in un modo viscerale e inspiegabile, pur non ricordando i dettagli più significativi. Sa che non ci sono solo i bevitori di sangue a mescolarsi tra i più ignari, ma lei si tiene alla larga anche da loro e al momento non rientrano tra i suoi obiettivi. Eppure non può fare a meno di guardare quella coppia, di inseguirla con un'occhiata insistente, sopprimendo la tentazione di braccarli per avventarsi alle loro giugulari e abbeverarsi della loro euforia. Invece si domanda se c'è qualcuno ad aspettarla, se c'è chi la sta cercando. Qualcuno che non vuole ucciderla. Di nuovo. Per quello che ne sa, potrebbe esserci un amante, un marito. Persino un figlio. Ma non permette a una simile speranza di attecchire, neanche per un istante. Ora non è altro che una minaccia, una da cui stare alla larga: il randagio che ha assassinato non ha fatto altro che puntualizzarlo. Dimenticarla, ecco cosa dovrebbero fare. Dimenticarla come lei ha dimenticato se stessa. E poi ci sono momenti come quelli - i peggiori - quando è tutto troppo buio persino per un vampiro, in cui vorrebbe avere un ricordo felice a cui aggrapparsi, anche solo per un istante, per resistere al dolore sordo che le fa contrarre il cuore. Invece non trova nient'altro che i volti delle sue vittime. E il senso di colpa. Il disgusto per se stessa, il rifiuto. E il suo Creatore. E con lui l'odio, il rancore, la rabbia. E la sete bruciante.

    Si ferma esattamente ad un soffio dall'ingresso della Chiesa, il passo frenato dal dubbio. Forse teme davvero un giudizio divino. A cui si prepara. Sospinge la pesante porta di legno quanto basta per intravedere la navata. E striscia lentamente un piede in avanti, come se temesse di scontrarsi con una barriera invisibile a negarle l'accesso. Ma sono timori vani, perchè non sembra esserci niente ad impedirle di proseguire. La sacralità del luogo cala su di lei immediatamente, ovattandole i sensi. Ad accoglierla c'è quel tipico silenzio che promette pace e serenità. E una miriade di candele accese. Troppe candele, che la obbligano a percorrere la navata invece di defilarsi lateralmente, come avrebbe preferito fare. Sono una miriade di fiammelle che le procurano un timore atavico immediato, che la sua natura aborra per la pericolosità che rappresentano alla sua sopravvivenza. Due passi, poi cinque. E si ferma, allargando appena le braccia. Aspettando qualcosa. Qualsiasi cosa. Forse anche Dio si è dimenticato di lei, decidendo di ignorarla. O forse non ha tutto quel potere che raccontano i suoi fedeli. Tutto quello che percepisce invece, è il bisbiglio di una preghiera. C'è un'anziana tra le panche che incurante dell'ora parla con il suo Dio. E che neanche si accorge di lei. Non ci vorrà molto per raggiungerla. Attira la sua attenzione appoggiandole una mano sulla spalla, persino con una delicatezza esagerata: non vuole farle fare la fine del gatto. La sfiora appena in realtà, quanto basta per riscuoterla. E quando solleva lo sguardo su di lei, sfrutta quel momento per guardarla dritto negli occhi.

    < Spegni tutte le candele. E vai via > Modula la propria voce per asservire la coscienza altrui attraverso la malia magica che la sua razza è in grado di esercitare [ Ninna Nanna delle Tenebre ] E' un trucchetto che ha dovuto imparare da sola e che non sempre ha avuto i risultati sperati vista la sua inesperienza. Questa è una di quelle volte che riesce a sembrare convincente, perchè l'anziana si alza senza fare domande e si appresta ad accontentarla. Ci vorrà qualche minuto di troppo prima che la donna assolva al suo compito, con il suo passo claudicante e lento. E mentre una candela dopo l'altra si spegne, la vampira senza memoria si accomoda al suo posto. Non guarda verso l'altare, ma rovescia la testa all'indietro per ammirare in alto, verso gli affreschi. Riesce a vedere ogni dettaglio, anche al buio. E forse quello che cerca non è la redenzione e neanche una punizione. Ma un attimo di pace, una tregua. E un silenzio che non sia quello dei morti, delle cripte in cui è solita nascondersi.

     
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    C'è stato un tempo in cui le regole erano tutto. Più che un'ossessione, era la certezza che ci fosse un solo modo secondo cui l'universo dovesse girare, e chi cercava di forzare le cose in senso opposto...era semplicemente fottuto.
    Questo è stato, e nulla più, finché l'equilibrio non ha fottuto anche lui, lasciandolo nell'oblio di un nero assoluto e nell'incertezza di quale fosse il giusto appiglio a cui aggrapparsi. Ammesso che ce ne fosse uno.
    Alla fine ha capito che ci sarebbe stata solo una regola a cui era ancora disposto a sottostare ed era la propria volontà: niente giustizia, niente morale, niente di niente. Lì dove finivano i suoi interessi, terminava bruscamente anche il suo raggio d'azione.

    Le narici colme di un lungo sospiro, Edward se ne sta nell'ombra più angusta della chiesa. Quando ci è arrivato non è importante, perché ha i suoi trucchi per essere dannatamente silenzioso ed invisibile anche ad una vista come quella di un vampiro. E poi, quando sarà a portata del suo olfatto, quando il sangue che pompa nelle vene può rappresentare un richiamo per Jane, e quando persino la sua aura potrà riverberare con bisbigli incomprensibili, allora non avrà più importanza che sia silenzioso. Non è entrato in quella Chiesa per inginocchiarsi su una panca di legno, né per osservare in silenzio una donna che cerca la solitudine. Se è arrivato sino a lì può voler solo dire che è esattamente il luogo ed il momento in cui voleva essere e la Vampira è un pezzo essenziale del quadro.
    Non è stato sicuro di quello che stava facendo fino al momento in cui lo sguardo non ha scorto una fisionomia che riconosce ancora, come una memoria muscolare che non puoi strapparti via neanche volendo. E Dio gli è testimone: eccome se ha voluto. Ci ha provato in ogni modo.
    A quel punto, mentre Jane si allontana nel suo campo visivo pur senza uscirne, non ha più alcun dubbio: si pentirà amaramente di quello che sta facendo.

    Solo qualche anno prima le avrebbe portato un'intera frotta di cacciatori, o forse sarebbe bastato lui. Chiunque abbia provato a cacciare un vampiro neonato, ed ha fallito, è buono solo come cibo per vermi. Sono così prevedibili, così istintivi, che persino un bambino riuscirebbe a mettere loro un piede tra le caviglie e buttarli a terra. Jane Doe non è da meno, lo sa, l'ha seguita per giorni a debita distanza, infischiandone se quella si sia sentita braccata, osservata, pedinata. Non era l'unico e gli altri non hanno fatto una bella fine, sfiorando il risultato ma senza portare a casa la vittoria. I Cacciatori di quelle parti devono avere seri problemi organizzativi e questo, a conti fatti, è ormai un bene anche per lui: lo ha conosciuto umano ma non lo è più da tempo. Se dovessero avere il sentore della sua presenza, sa che gli starebbero addosso al pari di una succhiasangue come lei.
    A differenza loro non è armato di armi convenzionali e la magia a cui può ricorrere è un mezzo di difesa a cui pur volendo - e non è questo il caso - non può più rinunciare.
    La luce viene lentamente a mancare ed al suo posto c'è solo qualche raggio lunare, troppo flebile per essere di vero aiuto. Così lo Stregone è nulla più che l'ombra di sé stesso, vestito di abiti scuri, stoffe ruvide. Pantaloni neri, una camicia che sbiadisce sotto un lungo cappotto nero, ed i capelli legati sulla nuca per permettersi una visuale più ottimale. Forse è un bene che il volto sia mangiato dall'oscurità, imbellito dalla confusione di un gioco di ombre e polvere che aleggia tra le navate della vecchia chiesa di New Orleans. Se Jane è un mostro dalle sembianze di un angelo, lui è sempre stato un angelo giudicatore dalle parvenze di un diavolo. Pelle scura, tratti disarmoniosi, cicatrici che in più punti raccontano quanto sia stato ad un passo dalla morte. O dal perdere l'uso della parte sinistra del corpo, anche se quello è un dettaglio che i vestiti nascondono bene. Anche le rughe non si sono fatte pregare, forse più precoci di quello che ci si aspetterebbe alla sua età, ma più di tutti sono i suoi occhi ad essere sbagliati. Azzurri, di una lucentezza immeritata, in un taglio sottile che si riduce quasi ad una fessura mentre individua le spalle della donna appena cacciata dalla sua stessa Chiesa. Quando quella sarà uscita e la vampira sarà intenta a fissare il soffitto, finalmente compirà un paio di passi lungo il corridoio laterale. Ad annunciarlo il cigolio della pelle di alti stivali da viaggio.


    Edited by I Fondatori - 25/10/2021, 20:51
     
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    Si è lasciata dietro impronte umide, ed è talmente zuppa da infradiciare la panca su cui si è accomodata. Rovescia così indietro la testa da assumere con il collo un'angolazione completamente innaturale. Un umano non riuscirebbe ad arrivare a tanto, o comunque non resisterebbe così a lungo: la spina dorsale ne risentirebbe. Non ha di questi problemi la vampira, che ha smesso di preoccuparsi di qualsiasi limite mortale, così come di respirare. Il berretto le scivola via dalla testa e dalla zazzera di capelli aggrovigliati e umidi che non si è mai presa la briga di pettinare. Ha smesso di preoccuparsene quando ha provato a tagliarli e non ci è voluto molto prima di ritrovarseli alla stessa identica lunghezza. Destinati a restare immutati come ogni altra cosa di lei. Il suo sguardo cattura avidamente le vetrate artistiche della chiesa, la brillantezza dei colori che i suoi occhi riescono a cogliere anche nella penombra. E lei contempla con blanda meraviglia quelle sfumature come un neonato che apre per la prima gli occhi al mondo. O forse è la sacralità di quell'arte a conquistare tutta la sua attenzione, mentre, finalmente, si concede un attimo di tregua. Si chiede se era una fedele, una credente. Se abbia mai pregato. Quante domande continua a farsi, nella speranza di ottenere una risposta che, puntualmente, non arriva mai. Tutto tace dagli abissi della sua mente e il conforto che trae è lo stesso di quando trova rifugio nell'anfratto di qualche cripta. Con il silenzio dei morti, e nessun allettante battito cardiaco a spogliarla di ogni ragionevolezza.

    Ma è una stasi quella che non è destinata a durare. Non sono i bisbigli dell'aura dello Stregone e neanche i suoi passi a trarla fuori da quella trance. Ma è la fragranza di quello che gli scorre nelle vene e la litania del suo muscolo cardiaco a chiamarla. Come uno squalo che ha fiutato sangue, lei reagisce nello stesso modo, torcendo la testa di scatto - ancora reclinata - per inquadrare la sua figura ombrosa. Le basta sfiorare il suo profilo con lo sguardo per percepire un immediato senso di familiarità che spesso e volentieri l'ha ingannata più di una volta. Il suo volto è destinato a smuovere ben più di qualche blando ricordo. E a farle male. Ogni volta che si sforza di ricordare, di inseguire un frammento di memoria, viene ripagata con fitte di dolore che hanno lo stesso effetto di un'emicrania pulsante. Ma con Edward è trecento volte peggio. E' come se un coltello le stesse affondando nel cranio, e qualcuno le stesse rigirando la lama nel cervello, scavando, scavando così tanto da lacerarla profondamente. Fa così male da offuscarle la vista, da strapparle un rantolo di sofferenza, mentre si raddrizza così bruscamente da provocare lamentele di protesta alla spina dorsale. E sembra così umana quando si porta entrambe le mani alle tempie e si piega in avanti, cercando un sollievo che non arriva immediato. E più si sforza, più fa male, obbligandola alla rinuncia. < Smettila > Lo accusa, con voce rauca, giudicandolo l'artefice di chissà quale attacco mentale, o potere, ai suoi danni. Lo sta già valutando come una possibile minaccia, senza realmente essere certa se lui abbia o meno fatto realmente qualcosa per aggredirla: c'è chi può farlo senza neanche muovere un solo dito. O senza dire una parola. Quando abbassa le mani, sono lucide di sangue, perchè d'istinto ha tirato fuori dieci [ Artigli Cremisi ]. Reagendo esattamente come una bestia a cui hanno pestato la coda, una di cui si ostinano a volere la pelle. E quando torna a guardarlo, sta sanguinando dal naso, come se avesse un'emorragia celebrale in atto. Niente di preoccupante. Come sono guarite le sue corde vocali, il suo corpo provvederà a risanare qualsiasi danno. E' sopravvissuta a pallottole, a dardi, a lame e a qualsiasi cosa le abbiano scagliato contro, neanche fosse un portaspilli. Persino il suo cuore è tornato a battere dopo essersi sfilata dal petto il paletto che l'aveva trafitto. Probabilmente ha patito più dolore nella sua breve vita da vampira che in tutti i precedenti anni da umana. Ma guardare lui fa più male di qualsiasi altra cosa. Un uomo così non si dimentica facilmente, eppure lei ancora non sembra ricordare il vero peso del suo sguardo addosso. I sigilli alla sua memoria restano serrati, i ricordi seppelliti profondamente da qualche parte, dentro di lei. Potrebbe essere stata lei stessa a voler dimenticare, a ingabbiarli, capita dopo qualche trauma. O per proteggere qualcun altro. O potrebbe essere stato il suo carnefice a danneggiare la sua memoria per rendere la sua rinascita ancora più crudele, la sua punizione più atroce. Qualsiasi sia la natura del buio che ha nella testa reagisce sempre nello stesso modo. La diffidenza la fa indietreggiare, la sua naturale aggressività le fa tirare fuori gli artigli. E niente le suggerisce che potrebbe essere diverso dal solito, questa notte: combattere e sopravvivere.



    Edited by MaiUnaGìoia - 26/10/2021, 02:12
     
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    Stregone

    Edward ha avuto le idee chiare sulla fede sin da quando ha potuto capirla. Il libero arbitrio è una grande stronzata ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti, anche di chi si ostina a ritenere il piano divino infallibile.
    L'inferno è già sulla terra ma non molti sono in grado di accettarlo.

    Lui una volta ha creduto di vederlo in quella donna, ma se pensava che fosse rimasto qualcosa di quelle fiamme, delle urla, di tutta quell'agonia...si sbagliava. Vederla soffrire riesce a stirare un sorriso affilato sulle labbra sottili, infami, che fanno di tutto per ricordare a sè stesso che sanguinare dal naso potrebbe essere la cosa più piacevole che le sia successa negli ultimi giorni, ma vederlo gli piace comunque. Quella piccola parte di lui che vuole pigiare tasti diversi, sfiorare corde molto più antiche e meno vendicative, la mette a tacere con un pugno di fango nella bocca. Non vuole sentirne neanche un fremito, non un sospiro, che non siano i gemiti sofferenti della Vampira riversa su sè stessa a pochi passi dallo Stregone. Oh, l'autocontrollo, quanto gli è facile perderlo se nei paraggi c'è lei - Jane Doe - quasi una certezza. Gli è costato tanto, troppo, cedere a niente meno che qualche passo al di là del perfetto equilibrio ed ora, quando non gli importa più un cazzo di che fine faccia il mondo, eccolo lì a fare di nuovo carte false per non mostrarle che effetto faccia rivederla. Persino nell'ombra più scura di una Chiesa deserta.

    < ... >
    Gli anni passano ma le abitudini sembrano difficili a morire, come quella di non voler sprecare un fiato più del necessario. Chiunque abbia avuto modo di stargli intorno ha imparato presto che per fosse per lui, non parlerebbe affatto. Preferisce agire. Eppure una lingua ce l'ha ed anche piuttosto tagliente, ruvida come la sua voce e pessima come l'accento scozzese che non si è mai scrollato di dosso. Una voce che al momento se ne sta nella propria testa, a ripetere il suo nome migliaia di volte in una litania incessabile da quando ha iniziato a cercarla. Non giorni, non settimane: mesi. E quando apre le dita di una mano rovinata, scura e graffiata, fa tintinnare con disprezzo il metallo di sei o sette anelli. Impattano contro il legno della panca dietro alla sua, anticipando un movimento silenzioso ma teso che lo vuole presto seduto esattamente alle spalle della Vampira. La stoffa freme, la pelle cigola, ma è soprattutto la sua voce a riverberare di un sospiro che parte dal centro del petto e si ferma sotto la lingua. Un verso gutturale che le sta risparmiando una risposta poco gentile, alla sua richiesta.
    In tutto quel tempo, il cuore ha accelerato i suoi battiti cardiaci in una risposta effimera, se paragonata a quello che sarebbe potuto essere. Calmo, contro ogni desiderio, perchè la capacità di tenere strette le redini di sè stesso non l'ha mai persa. Anzi, forse l'ha ritrovata quando ha lasciato andare le briglie di tutto il resto. < ...e poi? > Non ha mai parlato con un tono che non fosse un basso richiamo, nitido ma mai più forte di quelle note che riescono a malapena a raggiungere il suo udito. Di certo non il fondo della Chiesa.
    < ...tutto qui? > Edward Evory sta cercando risposte che quella donna non può dargli ma non lo sa ancora, e commette l'errore di pronunciare quella che sembra una provocazione. Sfidare i mostri non porta mai nulla di buono e avrebbe dovuto impararlo anni prima, da quando ha iniziato a dare loro la caccia. Solo che Jade ha avuto sempre il difetto poco trascurabile di non essere un mostro, per lui, ma una promessa infranta. Una di quelle che fa più male di un mal di testa. Non sa se ha smesso di soffrirne o se è solo l'ennesimo peso con cui ha imparato a convivere, dimenticandosi di aver mai avuto la schiena dritta.

    Gli occhi della donna non vuole guardarli, per ora, e si accontenta di stendere le gambe sulla seduta di legno. Accavalla gli stivali scuri ad altezza degli stinchi, un braccio finisce per creare un arco sullo schienale e gli anelli tornano a battere il tempo sul legno. Un ritmo che è stranamente concordante con quello del suo muscolo cardiaco. Ha un brutto profilo, Edward, e glielo rivolge con la certezza che lei vedrà esattamente quella ragnatela di cicatrici che imbratta la parte sinistra del suo volto. Un incidente che non può ricordare neanche volendo, lei non c'era, ma par volerle sbattere in faccia come sia sopravvissuto anche a quello. Lo farà sempre, a discapito di qualunque cosa, anche a discapito di lei. I tempi in cui poteva essere un'eccezione sono finiti ancor prima di incominciare.
     
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    La testa continua a ronzarle incessantemente. Il dolore arriva a stilettate, a pochi secondi l'una dall'altra. E quando si illude che potrebbe essere l'ultima, arriva una pugnalata e poi un'altra ancora, in un delirante concerto che le pulsa nel cranio. Eppure si ostina a non voler distogliere lo sguardo da chi la sta torturando, involontariamente: basta la sua sola presenza. Il sorriso che ne ricava dal suo volto non sarà dei più sadici che ricorda, perchè il primato resta del suo Creatore. Ma quella piega infame, in una situazione diversa, basterebbe da sola a scatenare i suoi peggiori impulsi. Come piantargli tutti e dieci gli artigli in faccia, sino a cancellare non solo il suo sorriso, ma anche i suoi lineamenti; si vede già anche attaccata alla sua giugulare, a dissetarsi così voracemente da lucidarsi il viso del suo sangue. Quanto sarebbe facile cedere immediatamente a quell'impulso, e per una volta assecondare la propria natura invece di continuare a contrastarla, in una lotta sfiancante che l'ha sempre vista perdere. Ha perso il conto di quante volte ha deluso se stessa, senza neanche uscirne più forte, ma solo più disgustata dal mostro assetato che è il suo riflesso in uno specchio. < Non voglio farti del male > Si sorprende invece a dire, contro ogni previsione. Sconcertando persino se stessa. E scopre che davvero non desidera aggredirlo, anche se lui la sta provocando. Ma quella rassicurazione l'aveva fatta anche al piccolo randagio, e poi invece...

    Lo insegue con lo sguardo restando immobile come una statua, voltandosi quando sarà alle sue spalle. Minuta, dritta come un fuso, rigida. Con gli artigli che gocciolano sangue. Il suo stesso sangue. Edward è troppo calmo, troppo rilassato. Il suo muscolo cardiaco non ha una sola singola aritmia che possa suggerire il suo vero stato d'animo. E se ha anche la compostezza e la tranquillità di sedersi come se non avesse alcun timore di sorta, deve esserci per forza qualcosa di importante che le sfugge. < Perchè ho come l'impressione di conoscerti? > Quella è la sensazione che la frena dal reagire nel peggior modo possibile. Quella familiarità che le provoca un'emicrania disumana e la spinge a fare due passi verso di lui. A inchinarsi in avanti, come per guardarlo meglio. Lui, le sue dita cariche di anelli, il suo profilo sfregiato. Quest'ultimo le fa assottigliare gli occhi e le stringe la gola, come se le fosse diventato impossibile respirare. Che di per sè è assurdo considerando che ha smesso da un pezzo di aver bisogno di ossigeno. Ma è uno di quegli strascichi mortali che si porta dietro, che scatena reazioni come potrebbe farlo un arto fantasma: si ha ancora l'impressione di averlo, lo senti formicolare anche se al suo posto c'è solo un moncherino. E con quello arriva un'inspiegabile rabbia, un turbamento viscerale e l'impulso di allungare la mano verso il suo volto, ritraendo gli artigli perchè non nasce come una minaccia, ma con il bisogno di toccarlo. Di confortarlo. Di lenire qualsiasi dolore passato. Non arriverà a cedere davvero a quel desiderio, frenando a mezz'aria quel semplice gesto e ritraendosi da lui nel modo più veloce e immediato che conosce: nella sua forma incorporea. Svanisce in un fitto nugolo di pipistrelli, per ricomparire a quattro metri da lui, nel corridoio della navata centrale [ Manto Nero ].

    < E' una trappola... > Quella è la conclusione a cui giunge. Potrebbe non essere da solo l'ex Cacciatore. Le è già capitato che qualcuno facesse da esca per attirarla in un agguato, sebbene l'approccio di Edward non sia stato propriamente convenzionale. Si guarda attorno, trafiggendo le ombre e qualsiasi anfratto con il proprio sguardo. E fiuta l'aria, in cerca di altre fragranze di sangue oltre a quella allettante dello Stregone. La vicinanza con lui ha risvegliato una bruciante sete, facendola agitare di un desiderio tanto sbagliato quanto inevitabile. E chissà perchè non le piace che possa cogliere il fetore e lo sporco della strada che ha addosso o che possa notare ogni dettaglio delle sue misere condizioni. Dei luridi stracci che indossa, di quanto siano aggrovigliati i suoi capelli. O di come la dolcezza naturale del suo viso si sposa male con la sua natura più sanguinaria; di come abbia serrato quelle labbra che sono state disegnate per sorridere e invece ora servono solo per nascondere i canini che spingono contro le gengive. In quel momento se ne vergogna con un disagio che non ha mai sentito in precedenza. E questo non fa che gettarla nella confusione, in un panico crescente che la obbliga a valutare più di una via di fuga.



    Edited by MaiUnaGìoia - 27/10/2021, 11:50
     
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    Edward non è mai stato sadico ed era questo a contraddistinguerlo da tutti gli altri. In parte indole ed in parte una scelta, si è imposto di mantenere un limite tra giusto e sbagliato, porre un muro tra sè e la moralità che spesso rischiava di andare in frantumi nel suo lavoro.
    Cacciare, uccidere, estorcere informazioni. E poi tornare ancora una volta a caccia di qualcosa. No, a caccia di qualcuno. Niente di tutto questo gli ha mai dato alcun brivido di piacere, perchè alla base della sua vita c'era la certezza di star compiendo quanto fosse giusto fare e la sete di sangue non aveva niente a che vedere con il suo ruolo. Ecco perché cacciava chi della magia ne aveva fatto un'arma ed un'offesa, sovvertendo le leggi naturali che vorrebbero quantomeno un giusta opportunità di difesa contro ogni assalto. Che speranze potevano mai avere gli essere umani, stesi all'ombra dell'ignoranza quando al sole ardevano segreti in grado di ustionarli più del fuoco? Sono nati per questo, i Cacciatori, e lui non si è mai distolto da quell'obiettivo.

    Adesso gli è rimasta solo la certezza di non potersi fidare di altri che del proprio giudizio, ed il bene comune, il grande quadro della situazione, lo ha chiuso nello scantinato. Si, forse non è più un soldato, ma non ha ancora sviluppato quella sete che - ironia della sorte - ora si è fatta una realtà per qualcun altro.
    Jane lo ha visto sorridere ma chissà se ha fatto caso a come quel sorriso sia andato a scemare quasi immediatamente. Deve aver supposto che quella stesse soffrendo per la sua presenza, come miele alle api per il suo olfatto ed il suo udito, ma neanche lui è tanto stupido da non capire che ci sia anche altro sotto. Si è tenuta la testa, lo ha visto e memorizzato come ha imparato a fare con qualunque cosa abbia avuto attorno negli anni passati, anche quando sembrava che stesse guardando altrove. < ... > Lei sta soffrendo, fradicia e lurida fino alla radice dei capelli, ma l'uomo nel cappotto nero sembra avere occhi soltanto per la navata davanti a lui. La verità è che si dice che non potrebbe fare comunque assolutamente nulla per aiutarla, perciò tanto vale che se ne stia al suo posto. A battere il tempo con il rumore di quegli anelli che sono serviti a più di una cosa, ornamento ma anche arma. Sono finiti ricoperti di sangue più volte di quante ricordi. < ...nemmeno io. >
    Quando ha sentito la voce di Jane esprimere un desiderio così apparentemente normale, in realtà nella sua mente è scattato ben più di un ingranaggio. Un vampiro neonato non vuole nuocerti e questo è davvero carino da parte sua, ma non vuole dire un cazzo. Tra il volere ed il potere, nel suo caso, non corre buon sangue. Quello che lo attira a muovere la testa è che in realtà ha pensato alla probabilità che quella volesse fargliene eccome, ancora prima di scoprire che fosse stata trasformata in una Vampira. Lo ha creduto sino a quel momento, proprio in quell'istante, quando qualcosa nelle sue corde lo porta d'istinto a fare una cosa che si era ripromesso di non fare più: fidarsi.
    Più forte di lui è il subconscio, che sa riconoscere le intenzioni di qualcuno molto meglio di quanto faccia l'udito, o la vista. Eppure non è stato quello a fregarlo per la prima volta? Il cosiddetto istinto? < Ti avrei cercato prima, se avessi voluto. > E forse un tempo non ne aveva i mezzi, quando lei è uscita dalla sua vita, ma quei mezzi sono finiti tra le sue dita molto prima di quanto lei creda. Peccato che lei non creda proprio niente, perchè non sa nemmeno con chi sta parlando. Un dubbio che gli salta alla testa quando la donna si tende a guardarlo ed Edward torna a volgere a testa dall'altra parte, dandole il suo profilo peggiore ed aspettando che lei dica qualcosa. Qualunque cosa. Il fatto che scelga quella rimescola tutte le carte in gioco. < ... > Inspira di getto, perchè è tentato di farle presente che ha finito con le stronzate. Può anche darci un taglio, perchè a lui non interessa cosa sia diventata: non caccia più e non tornerà mai a farlo. Ma ancora una volta è l'istinto che vuole in tutti i modi suggerirgli che quella sia la verità, per lei, e maledice tra i denti quelle budella che si torcono dentro di lui. Il corpo gli ricorda di non fare lo stesso errore come farebbe all'odore dell'alcool dopo troppe brutte sbronze. < Che cosa...vorresti dire? >

    Il movimento di Jane non è qualcosa di tangibile eppure si manifesta come uno spostamento fisico, reale, col rumore di decine di ali che sbattono all'unisono nell'arco di pochi secondi. Un suono che gli da un brivido ed accelera un battito cardiaco che fino a quel momento era rimasto sopito, o quasi, tradendo così una reazione umana. Più umana di lei, quanto meno. < ...cosa? > Tira su la schiena dal bracciolo della panca, drizzando la spina dorsale per affrontarla. Quattro metri, la Vampira è al centro della navata più vicina e si guarda attorno, mentre gli occhi dello Stregone si serrano unicamente sul contorno della sua figura. Non sa dove inizia il freddo di quella chiesa deserta e dove l'aura della donna, ma quel vuoto è tutto suo. Un vuoto che si riflette verso di lui quando intercetta la paura e l'insicurezza su quel volto che non ha mai dimenticato. Non lui. < ...davvero non lo sai? Quando mi hai scritto...non ti sei presa la briga di informarti? > Deglutisce e gli stivali tornano al suolo, permettendo a tutta la sua figura di alzarsi. Gli interessa il giusto che quella possa ritrarsi, al suo farsi più vicino. Edward non ha mai supplicato nessuno e non lo farà neanche con lei, libera di svolazzare fuori dal rosone in qualunque momento. < Non sto più...con loro. > Confessa con un gesto lento delle braccia, a sottolineare l'assenza di chiunque altro in quell'edificio. Ogni parola si trascina su tonalità pigre, graffianti, come se neanche la sua voce voglia degnare il resto del mondo di troppa attenzione. O valore. < ...perciò...vuoi dirmi cosa sta succedendo qui? > Si fermerà quando avrà raggiunto il limitare della panca, senza avvicinarsi oltre. La luce della luna illumina tre catene che ricadono sul torace, ciascuna con una chiave di diverse forme e dimensioni. L'ha sempre indossata e non le ha mai detto a cosa servissero. Qualche ciocca è sfuggita alla coda di capelli scuri, limando la figura del lungo volto scuro. Uno zingaro dal sangue sporco che forse è meglio che lei non assaggi, perché sotto quello strato di sporcizia c'è ancora una fragilità che nemmeno l'immortalità è riuscita a toglierle.
    Ha ancora l'impressione di poterla stringere e fare a pezzi in un battito di ciglia, ed ancora nessuna intenzione di farlo per davvero. La vita semplicemente l'ha avuta vinta, su di lui, su di lei, su di loro. Era una battaglia persa sin dal principio e vorrebbe averlo capito molto prima.
     
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    Forse non dovrebbe dargli credito. Ma per un istante, per un solo istante, c'è un barlume piacevole di sorpresa e di speranza alle parole di Edward. Qualcuno che non vuole farle del male è una tale novità da lasciarla interdetta, disarmata. Fatica a credergli e resta il sospetto, ma qualcosa le impedisce di fuggire via, come invece stava meditando di fare. C'è una parte di lei, quella seppellita nella tomba dei suoi ricordi, che le sta dicendo di restare. Di fidarsi di lui. Che la costringe ancora e ancora a guardarlo, anche se fa male. Con lo sciocco impulso di saltargli al collo ma non per piantargli i canini nella giugulare. Si accosta alla panca e abbassa le spalle, assumendo la tipica postura dei vinti, con lo sguardo basso e la cornice dei capelli fradici a fare da sipario al suo volto. Potrebbe apparire docile, abbattuta, ma basterebbe anche solo il più piccolo gesto sbagliato per innescare la violenza della sua natura sanguinaria. < Ma non hai voluto > E quello, quello fa male più di tutto, perchè significa solo una cosa. Allunga la mano verso il legno della panca come se avesse bisogno di un appoggio, di un sostegno. Ma le serve solo per piantare le dita lì e stringere qualcosa per distrarsi dagli impulsi più sbagliati. < Forse avresti impedito che lui mi facesse questo > O forse avrebbe fatto da spettatore soddisfatto. Ma il suo tono manca totalmente del timbro dell'accusa, della condanna: non gli sta dando nessuna vera colpa. La sua voce è un rantolo penoso, disarmonico, che ha ceduto alla rassegnazione dei fatti. < Dovevo essere una donna orribile. Deve essere per forza così se nessuno mi ha mai cercata. E ora vogliono trovarmi solo per annientarmi > È facile credere che in qualche modo deve esserselo meritato: tutto torna. Del resto lui non sembra affatto felice di vederla. Lo Stregone ha reagito come se si fosse trovato davanti a una vecchia conoscenza che l'ha lasciato del tutto indifferente. E quella consapevolezza mette del tutto a tacere gli strascichi emotivi di quello che resta della sua umanità, che ha desiderato e sperato in un barlume di luce in quel buio. Ha voglia di piangere, perchè sarebbe l'unico modo per filtrare il dolore, per lasciarlo andare. Invece i suoi occhi restano asciutti perchè la sua natura non è contemplata per versare lacrime. La sofferenza è destinata a restarle dentro, a corrompere ogni sua singola cellula: ne è satura, colma sino all'orlo. Invece stringe con forza il legno, che si lamenta sotto la sua stretta disumanamente forte e cede, spaccandosi in diversi punti.

    < Se ti ho scritto non ricordo di averlo fatto. Non ho memoria di te, ma non ho neanche memoria di me > Solleva di poco lo sguardo, quanto le basta per inquadrare la sua figura sino a fermarsi cautamente all'altezza del suo petto e non oltre. Il suo collo è troppo attraente, una distrazione pericolosa. Ma guarda i suoi ciondoli, quelle chiavi, avida di ogni dettaglio. < ...Chi sei? Puoi dirmi come mi chiamo? Chi eravamo...? > Anche se ha quel punto non è più certa di volerlo sapere davvero. Ha il sentore che farà ancora più male. Ma che differenza può fare ormai, costretta a barattare il dolore per altro dolore. E' una trappola. Continua a ripeterselo mentre il buio attorno a lei incombe come una minaccia, invece di esserle di conforto. Non l'ha mai sentito davvero complice, ma è anche vero che sino a quando non scenderà a patti con la propria natura lo sentirà sempre ostile. < Loro arriveranno in ogni caso. Mi trovano sempre, sanno sempre dove sono > L'illusione che quella Chiesa possa darle asilo non durerà a lungo e non c'è posto che possa farla sentire davvero al sicuro. A quel punto non si chiede più se arriveranno davvero, ma cosa s'inventeranno questa volta, con cosa cercheranno di trafiggerla. < Per favore, ombroso guerriero. Puoi dirmi anche solo il mio nome? > Non sa di averlo già chiamato così in passato. Le viene naturale. Nonostante la sua aura da Stregone è quello che sembra ai suoi occhi. La postura e l'atteggiamento sono di un guerriero, e quegli sfregi i trofei delle sue battaglie, i segni di un sopravvissuto. Più lo guarda e più si fa concreta una sensazione di dilagante perdita, che si aggiunge a tutto il resto. Il proprio cuore che va in lutto deve essere un altro importante indizio, mentre rallenta stancamente nel suo petto.

    < No > La mano è scattata verso l'alto, il palmo rivolto verso Edward ad intimargli di non avvicinarsi ulteriormente. Non può davvero tracciare una linea di confine tra loro, non c'è una vera distanza che possa rendere sopportabile la fragranza del suo sangue. Non riesce a raggiungere nient'altro se non quel sinistro brontolio di gola che s'infrange contro lo scintillante avorio dei suoi canini. Sono li, esposti sotto la curva arricciata del labbro, minacciando di prendersi quello che più desiderano. No, non deve. E anche se la sete le brucia la gola, come se avesse ingoiato un pugnale arroventato, si sforza di restare lucida, con l'autocontrollo appeso a un filo. La sua mandibola trema e la serra di scatto con un titanico sforzo di volontà. Preferisce ferirsi le gengive inferiori, spaccarseli quei dannati denti piuttosto che cercare sollievo contro la gola dello Stregone. E altro legno si frantuma sotto le sue dita, che sistematicamente distruggono tutto quello che toccano.



    Edited by I Fondatori - 29/10/2021, 19:14
     
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    I suoi occhi si sono abituati alle tenebre quando ha smesso di esporsi alla luce del sole, rintanandosi tra le ombre in cui vivono tutti loro. Sovrannaturali ed umani assieme, spesso inconsapevoli gli uni degli altri.
    Eppure non può vedere ogni dettaglio che la compone, come la sporcizia che si annida sui suoi vestiti o il taglio storto dei capelli. Ne intuisce le forme, un profilo familiare ed un modo di muoversi che non è mutato davvero, da quando ancora respirava. Quando Jane Doe non pensa troppo al fatto di essere un corpo privo di reale vita, allora quella vita sembra riprendere il possesso che le spetta e la spinge a piccoli gesti o espressioni che rimarcano un passato dimenticato. Edward non ha idea se stia fissando i suoi occhi o qualche altra parte del suo volto, perchè sotto la luce che filtra dalle finestre può guardare solo un lato alla volta della Vampira. E questa volta è un profilo, sconfitto e chino sulle sue stesse ossa, che rende più concreta la possibilità che quella non stia mentendo. < ... > La lingua non ha un fremito, nè lo ha il suo respiro, quando la sua frase viene fraintesa completamente. Quello che intendeva dire era che l'avrebbe cercata molto prima, se avesse voluto farle del male ma non trova nessuna ragione per farle credere diversamente da quanto abbia capito. Nessun motivo per sforzarsi a ricostruire una parvenza di quella cosa che non c'è mai stata tra loro, soprattutto dall'ultima volta in cui hanno parlato: comprensione.
    Che creda quello che preferisce, che si sostenga al legno, perchè non è il suo compito farle da supporto. Il rumore della panca traumatizzato dalla sua stretta riesce soltanto a confermare che starle alla larga è la scelta migliore. Si era pentito di averla seguita fin dal principio e la situazione non è destinata a migliorare, soprattutto quando intuisce il profondo baratro in cui la sua vita sembra essere sprofondata. Un centro magnetico di sangue e segreti in cui non vuole essere trascinato, non di nuovo.

    <...o forse...vi avrei ammazzati entrambi. > Si era ripromesso che nulla di quello che è stato avrebbe potuto avere più nessuna maledettissima presa su di lui, perché aveva fallito più volte e non lo avrebbe fatto di nuovo, dandola vinta a chiunque abbia affondato il coltello nella sua schiena. In fondo dovrebbe ringraziarli: lo hanno reso l'uomo che è adesso, libero dalle catene che da solo si era imposto. Cieco, indifferente, ma magari per il meglio.
    Eppure di nuovo fa i conti con una scarica cardiaca che gli manda il sangue al cervello, quando sente pronunciare una stronzata dopo l'altra. Come il fatto che lui le dovesse qualcosa, tipo impedirle di diventare un mostro. O semplicemente esserci, per lei, quando ogni legame tra di loro era stato tagliato indissolubilmente troppi anni prima. < Dovevi essere una donna...morta. > Lo sputa fuori così, all'apice di uno scatto di nervosismo che non arriva a manifestarsi in nessun altro modo che non l'impennarsi della sua voce. Per un attimo il tono si alza, sovrastando il silenzio della chiesa e la capacità delle sue corde vocali di trovare la voglia di farlo. La sta fissando nel buio e sul volto non ha una minaccia, ma frustrazione. < E' quello che hai lasciato credere, almeno. > E chissà che non sia questo il motivo per il quale nessuno l'ha mai trovata, cercata, aiutata o - soprattutto - eliminata. Non avrebbe neanche voluto dirglielo, perchè sta ammettendo qualcosa e non c'è nulla che lei meriti di sapere. La voce ammette una debolezza sbiadita, confusa, che lui interrompe bruscamente quando volta lo sguardo verso l'altare e serra la mandibola al punto da creare due linee tremanti appena sotto lo zigomo. Sta stringendo i denti e questo rende la sua espressione instabile, pronta a disfarsi del tutto o calmarsi nuovamente.
    Rimane voltato verso quel punto, a liberarsi dalla sua vista e godere di quel vuoto che emana la sola presenza della Vampira. Gli basterebbe quello per voltarsi ed uscire da quella Chiesa, dove non avrebbe mai dovuto mettere piede, ma volterebbe le spalle ad una donna che non può neanche capire per cosa venga rifiutata. Allora a che serve che lo faccia? Improvvisamente ha voglia di tornare a sedersi o finire di spaccare quella panca, perchè qualunque cosa le sia successo non avrà niente di quello che avrebbe potuto cercare: non vendetta, non verità, niente di niente. Solo quel vuoto.
    < ... > Rieccolo quel profilo pallido nel buio. Torna a guardarla, torna a compiere qualche passo, ma le sue domande lo trapassano come spettri intangibili. Non è nessuno, non ha un nome, non erano un cazzo, loro due. Davvero vuole saperlo? Non crede proprio.
    < Allora vattene. Continui a girare...e girare...nel loro territorio. Perchè? Sparisci. > Se non riesce a combatterli, quei cacciatori, tanto vale sfuggire. < ...i mezzi ce li hai. > Potrebbe scomparire in un nugolo di sporchi uccelli neri e compiere chilometri in un battito di ciglia, li ha visti coi suoi occhi. Che ci fa ancora in quella città dimenticata da Dio? Forse era per questo che gli aveva scritto, l'aiuto che cercava, ma è qualcosa in cui può aiutarsi da sola. Gli manca ancora un tassello di quella storia ed è annidato nella memoria che Jane non ha più. < Da quanto? > Da quanto non ha memoria. Lo chiede a bruciapelo e potrebbe anche essere frainteso, ma come al solito...non sembra interessagli.

    Invece gli interessa come lei tenda la mano a fermarlo. Una mano che vuole cosa? Minacciarlo? No, proteggerlo. L'idea gli ricuce addosso un sorriso che finalmente rilassa i muscoli facciali ed interrompe lo stridore dei denti sfregati in quello scatto di tensione. < Non sono una preda così facile...come credi. > Poi un dubbio che trasforma la piega delle labbra in una smorfia amara. <...o credi ancora che sia qui per appenderti ad un palo e darti fuoco...> Poi realizza. Quel nome, quel modo di chiamarlo gli fa serrare di nuovo la mascella così duramente che i denti se li sarebbe potuti spaccare, se non li usasse di nuovo per parlare. <...cosa hai detto? > No, non la richiesta del suo nome. L'ha sentita e sentita ancora, ma non ha intenzione di pronunciarlo.
    Le sta chiedendo di ripetere la prima parte di quella frase, solo la prima, e di sentirla scandire ancora quelle parole è tutto ciò che aspetta. Ma aspetterà davvero per poco tempo, perchè in un attimo la ripaga della stessa moneta. Jane non è l'unica ad aver ereditato un trucchetto o due dalla loro natura sporca, infetta, e se entrambi hanno perso la loro anima in una partita col diavolo, non c'è da stupirsi se possano ricorrere alle stesse mani truccate. Scompare, senza pipistrelli ad accompagnarlo prima che riappaia alle sue spalle [Varco Spaziale]. Il fetore della strada è una pelle che Jade indossa alla perfezione, come se fosse quello che merita - adesso - su quelle spalle chine ed il suo stupido sguardo affranto. Ha pochi problemi a toccarla, o cercare di farlo, quando un braccio tenta di circondarle il collo per stringerle il mento tra due dita ruvide e poco clementi. Non prova a voltarla e piccola com'è, gli basterebbe sollevarle il volto per guardarla dall'alto. Almeno in parte. Invece preferisce che guardi il buio davanti a lei, anche se sarà riuscito ad afferrarla. < ...dimmi...com'è che quel nome te lo ricordi...ed il resto no? > E' una trappola. Neanche lui riesce per davvero a scrollarsi quella possibilità di dosso.
     
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    E' da quando è uscita da quella dannata tomba, sotto metri di terra, che spera di trovare qualche risposta. Sono passati mesi, durante i quali ha seguito solo spasmi di istinto e sensazioni. Era dall'altra parte del mondo ma qualcosa l'ha portata sino li, e ha la certezza di essere esattamente nel posto giusto: a New Orleans. Le è bastata un'occhiata a Edward per sentirsi accendersi una speranza e sarebbe disposta a sopportare qualsiasi lancinante dolore alla testa, finire nella trappola di migliaia di Cacciatori pur di ottenere finalmente una qualche risposta. Invece, con lui, le domande si affollano, aumentano. E quella blanda illusione di calore nel petto si raggela ancora prima che possa attecchire realmente. Ogni sua parola, che abbia o meno frainteso, il suo atteggiamento, equivalgono ad un rifiuto che la gettano nel totale sconforto. In ogni istante si sforza di risalire dal baratro che l'ha inghiottita, aggrappandosi a qualsiasi appiglio con le unghie e con i denti. E quando credeva di essere arrivata alla china, ha trovato lui. Che l'ha spinta di nuovo verso il fondo, dove presumibilmente merita di stare. Non si è mai sentita così inerme, neanche quando il suo Creatore le ha affondato i denti nel collo. Ha lottato sino alla fine in quegli istanti, sino all'ultimo fiato. Edward le fa venire voglia di deporre le armi, di inginocchiarsi e chiedere perdono per qualcosa che nemmeno ricorda mentre la sofferenza continua a consumarla a morsi < Si > Quello le sembra giusto. Che sia lui ad annientarla e non qualunque altro. < Ti darebbe sollievo? > Ucciderla. In passato gliel'ha sempre domandato cosa lo faceva stare bene e quell'abitudine non è morta. Le interessava davvero farlo felice, e ogni suo sorriso era una conquista impagabile. < Perchè? Mi braccavano anche prima? Da chi stavo fuggendo? > Deve esserci un motivo se ha dovuto fingersi morta e far sparire le proprie tracce. E' un altro tassello che manca di risposte. < ... Avresti preferito che lo rimanessi. Morta > Non glielo sta chiedendo, ne ha la certezza: anche un cieco si accorgerebbe della sua riluttanza. E ora per colpa di quel messaggio che neanche ricorda di avergli mai mandato lui è venuto a constatare con i propri occhi. A cercare risposte che lei ancora non è in grado di dargli. E a renderle il conto < Non posso andarmene. Devo trovare il mio Creatore. Devo... > Cosa? No, non è solo per quello che si trova a New Orleans. C'è altro, lo sa. < Proteggere... > Chi? Cosa? < Non lo ricordo! > Lo ripete, con frustrazione. < Non lo so, dannazione! Non lo so...>... < Il primo ricordo che ho è di lui, delle sue parole. E poi la bara e i metri di terra. E la sete... > Prima di quello non c'è nulla, il vuoto. Non ricordava niente neanche prima di lui? Prima della rinascita? Scuote la testa e dovrebbe bastare quello a sottolineare che sono punto e daccapo.

    E la sete le brucia la gola anche in quel momento. Un neonato non può ignorarla, prima o poi le farà saltare i nervi e sguinzaglierà la sua frenesia a briglie sciolte. < Io non riesco a controllarmi... > Avvisa a denti stretti la sua preda difficile < Ti prego, dimmi chi sono > E' un'ultima supplica stanca, sconfitta, che si trascina debolmente fuori dalle sue labbra, perchè qualcosa le dice che lui terrà la bocca cucita, lasciandola a marciare nel suo oblio. Ma chissà perchè non riesce proprio a odiarlo. E neanche a maledirlo. Che ha detto? < Guerriero...? >... < Ombroso guerriero... > Biascica, confusamente, prima di vederselo scomparire da sotto gli occhi. E ritrovarselo alle spalle. Lo sente incombere dietro di lei, ed è più che colta alla sprovvista. Perchè il modo in cui l'ha chiamato scioglie un nodo delle sua memoria. < Mio Ombroso Guerriero... > Ora è esatto. Con gli occhi della mente sta vedendo se stessa, una versione sorridente che ripeteva quelle esatte parole contro il profilo dello Stregone. Uno che non era sfregiato. Ci sono due dita che le intrappolano il mento ad impedirle di scuotere la testa, un braccio contro la gola. Le mani istintivamente risalgono per stringere le dita contro i suoi polsi, in una stretta indecisa, gelida e corrotta da qualche spasmo. < Abbracciami, sciocco > No, non glielo sta davvero chiedendo. Sta solo ricordando. Sente la propria voce distante, che si spezza in un sussurro < Mi ricordo che ti obbligavo a... > Ad abbracciarla. E poi chiudeva gli occhi, abbandonandosi con la schiena contro il suo petto, stringendo forte le sue braccia per non lasciarlo andare. Non sapeva mai se ne era davvero contento o se l'assecondava solo per farle piacere. Si rifiutava di guardarlo in faccia quando faceva la prepotente e la tiranna. Ma ricorda bene la sensazione. Si sentiva felice. A casa. Ma sono solo flashback, schegge di memoria stimolati dalla sua vicinanza. Da gesti familiari che scavano crepe nei sigilli che tengono in ostaggio i suoi ricordi. E ogni brandello di memoria è una stilettata nel cranio. E sangue che cola dal naso. E' dolore e piacere, è tormento e sollievo. La sta solo sfiorando, ma le sembra così sbagliato. E' sporca, è disgustosa. E' assetata. Le viene naturale desiderare di nuovo il suo abbraccio, risvegliarsi contro il suo petto e sentirsi dire che era solo un incubo. Invece ritrae di scatto le dita da lui, le distende convulsamente perchè non vuole rompergli qualche osso. E non vuole neanche trafiggerlo: ha di nuovo tirato fuori dieci artigli. < Lasciami. Non riesco... > Spinge con il mento verso l'alto, per sollevare gli occhi verso di lui. I lineamenti distorti da una smorfia di dolore e tormento, resa più macabra e violenta da un paio di canini troppo lunghi. < Non voglio farti... Male > Lo ripete ossessivamente. Forse più a se stessa che a lui. Ripiega le dita per trafiggersi i palmi mentre si contorce appena, nello sforzo di non perdere il controllo. Il suo cuore le sta assordando l'orecchio. La fragranza del suo sangue la sta spingendo verso il delirio. Non si è mai sforzata così tanto di tenere strette le briglie della sua natura più sanguinaria. Ha negli occhi un pericoloso barluginio scarlatto che sta dilagando in fretta < S-sete... > Ed è l'ultima cosa che riesce a dire, rantolando un brutto verso che nasce come una supplica e vibra sul finale come una minaccia disumana. Le si sono affilati tutti i denti, come accade tipicamente a quelli della sua Stirpe durante i loro peggiori momenti. Quando stanno per perdere il controllo. Ma non lo sta già più guardando. Non vuole vedere niente. Niente. E' già difficile così, mentre la sua testa si sta annebbiando e controllarsi a quel punto diventa impossibile. A breve avrà solo voglia di addentare qualsiasi cosa si ritrova sotto il naso, che sia la sua mano, il suo braccio. Sta già spalancando la bocca e i suoi movimenti si sono fatti più bruschi, aggressivi.



    Edited by MaiUnaGìoia - 1/11/2021, 12:06
     
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    Edward Evory

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    Stregone

    L'immaginazione non è mai stata il suo punto forte. Pensare che se sapesse cosa ha passato, le sofferenze che le scorrono dietro lo sguardo in penombra o i ricordi che le affollano la testa - i pochi ed i più brutali che le sono rimasti - sarebbe cambiato qualcosa, nel modo di guardarla...semplicemente non fa per lui. E chissà cosa sarebbe stato di loro, se avesse saputo più di una verità prima di quella notte. Come il motivo che l'ha spinta ad allontanarsi, il nome di chi ha fatto sì che le loro strade si separassero. Chissà, sarebbe cambiato tutto o niente. Edward ha una pessima immaginazione ed è per questo che è sempre stato il più affidabile cane a briglia sciolta dei Cacciatori, col fiuto per la verità e la lealtà, e quelle soltanto.
    Sono gli stessi dogmi che non riesce a scrollarsi di dosso nemmeno ora, quando tutto è andato a farsi fottere e rimane soltanto un mucchio di cocci che non ha voglia di ricomporre. Tutto ciò che vede è una donna che ha manipolato le vite di entrambi così a lungo che forse è solo il karma che sta gustando, adesso, tra sangue e dolore. Potrebbe vedere al di là del proprio naso ed intuire che qualcosa sta succedendo, proprio davanti ai suoi occhi, ma lui è così cieco da rincorrere ancora il passato piuttosto che affrontare il presente. Un passato dai capelli biondi ed un volto ancora gentile, così come lo ricordava: la più grande menzogna della sua vita.
    < No. > Immediato così come la conferma della Vampira. Lei si vede morta, ma lo Stregone non ha mai desiderato che lo fosse. O l'avrebbe cercata prima, molto prima, anche a dispetto del fatto che tutti la credessero morta. < Non mi darebbe sollievo. > La verità è che c'è stata una parte di lui che nel ricevere quella lettera ha provato qualcosa di così simile al sollievo, che si è disprezzato. Profondamente. Non passerà mai abbastanza acqua sotto i ponti per evitargli di rivedere in lei quello che vedeva un tempo, anche se cerca di mostrare il contrario. Di evitare di fissarla o di far caso a come il suo naso stia ancora sanguinando, assieme alla sua anima. Ha uno scatto di nervosismo con cui le spalle si sollevano ed il fiato taglia l'aria con un verso brusco, gutturale. < ...e che diavolo vuoi che ne sappia? > Chi la braccava, da chi stava fuggendo. < Per quanto ne so...a braccarti era la mia...gente. > I cacciatori. Par faccia fatica a pronunciare quelle parole: si era ripromesso che non avrebbe più parlato di quella storia, con nessuno. Quello che non immaginava era che fosse lei a chiederglielo. < E ne avrebbero avuto ragione. > Si, su qualcosa ha ragione persino Jane e la sua memoria perduta: merita di stare in fondo a quel pozzo, molta gente non sarebbe contenta di vedera viva e vegeta. Dove stia la ragione di questa guerra, però, è un mistero che annebbia il giudizio di entrambi. Jane sconfitta e dolorante. Edward? Sta cercando di mantenere sotto l'acqua tutte quelle sensazioni che ha creduto di aver affogato assieme al Suo nome, senza prendersi la briga di analizzarle una per una. A soffocare emozioni è sempre stato bravo, molto più che a provarle. < ... > e così una risposta nemmeno ce l'ha. Se avrebbe preferito che rimanesse morta o meno, a questo punto, è una di quelle fantasie che non sa ripercorrere. Viva lo è, vegeta un po' meno. Sa solo questo ed una risposta preferisce non averla, perchè potrebbe fare male ad entrambi. < ...devi proteggerlo? > Il suo creatore. Troppi pezzi sfuggono a quella storia e così semplicemente smette di cercare di ricomporla. La frustrazione nella voce della donna è sufficiente a fargli dare un taglio e torna a starsene zitto, nella penombra che esiste esclusivamente per l'ex cacciatore. Sa di essere in piena luce ai suoi occhi e che lo sguardo, altrettanto frustrato, a Jane non sfuggirà affatto. La vista cerca di ritagliarsi risposte già solo guardandola, perchè è chiaro che dalla sua bocca non ne riceverà alcuna.

    < Io non lo so più chi sei...> e forse non lo ha mai saputo. Se vuole sapere qualcosa di lei dovrà avere pazienza, perchè quella notte sembra che in ballo ci sia un pericoloso passo sul filo del rasoio. Un passo che potrebbero compiere entrambi e sprofondare oltre un dirupo di cui non vedranno il ciglio finchè non sarà troppo tardi.
    Forse doveva andare così. Finire com'era iniziato: tentando di annientarsi a vicenda. Ma Edward ha difficoltà a credere alle proprie stesse mani, anche quando la stringe il mento, illudendosi che possa fare altro che tenerla così. Nella sua mente, se quella è una trappola allora farà in modo di tenerla come uno scudo umano, o quasi, impedendole di sfuggire alla vista della sua stessa morte. Una morte che Jane avrà portato su sè stessa, tentando di ingannarlo per l'ultima volta.
    Ma il corpo dello Stregone ha un'idea ben precisa di cosa succederebbe se davvero ci fosse qualcuno annidato nell'ombra e pur sfuggendogli i dettagli, sa che alla fine non sarebbe Jane ad uscirne ferita. Non lo permetterebbe, come non ha mai fatto. Anche quando sarebbe stata l'unica cosa sensata da fare. < ...smettila...> mastica una supplica sulla sua testa, così vicino che il fiato le solleticherò la testa e le redici dei capelli. Le aveva chiesto di ripetersi ma non di iniziare una nenia che ha messo a dura prova i suoi nervi. Una cantilena a cui ha dovuto serrare gli occhi, dando la possibilità al buio di saltargli alle spalle o dimostrargli una volta per tutte che lei sta dicendo la verità. Un coltello nella schiena, degli artigli nel petto o dei fottuti denti di vampiro nel collo...basterebbero quelli, avrebbe ragione. Soccomberebbe in una fine che ora come ora acceterebbe volentieri, pur di non ammettere di aver fatto tanta strada ed essere di nuovo al punto di partenza. Ma non succede niente di tutto questo, anche se non sa quanto vicino sia andato dal sentire le sue, di unghie, conficcate nella carne. Quando solleva le palpebre sullo sguardo di ghiaccio, assottigliato e fremente di una tensione troppo profonda per essere sedata, inquadra il volto deformato di quello che è diventata ora Jane Doe. Era la sua pace, in un mondo di guerra. Finché c'era lei, riusciva a credere per brevi istanti che forse la sua non era una battaglia senza fine. Che deporre le armi era solo ad un passo di distanza, quello che lo separava da lei.
    Ma nei denti affilati della Vampira vede che alla fine, se pure compisse ora quel passo, non ci sarebbe che una strada uguale a quella già percorsa. Lasciare le armi sarebbe solo una farsa: lei stessa è diventata un'arma di quello scontro che è certo sia destinato a durare in eterno. Esattamente come la vita del mostro che ha tra le braccia.
    < ...lo so. > Lo sa che non vuole fargli male. Ma anche in quello ha perso: non può combattere quello che è diventata.

    C'è stato un tempo in cui lei si illudeva che bastava chiederglielo, per sentire le sue braccia stringerla contro il petto. Come se qualcuno avesse mai potuto obbligarlo a fare qualcosa.
    Ad Edward ovviamente non importava quello che lei credeva, purché non sfuggiva alla sua presa. Lo faceva sempre, abbracciarla. In silenzio. Lo fa anche adesso, gonfiando il petto in un respiro che cattura l'odore delle candele e quel fetore di una strada senza meta che è rimasta impregnata sui suoi vestiti. E sulla sua pelle. La stringe, senza alcuna compassione sul volto. < Non mi obbligavi a fare niente...> Il mostro si ribella, scioglie le catene per snudare la sete che domina tutto il suo organismo. Un desiderio che è diventato più impellente di molti altri. La stretta dell'uomo è forte abbastanza, ma non a sufficienza per eguagliare la potenza sovraumana di una creatura della notte: ci conta, perchè impedirle di fare qualcosa non è lo scopo. Piuttosto il contrario, incatenarla quel che serve affinchè la loro vicinanza sia abbastanza da spingerla alla resa. Il braccio destro si solleva e sembra voglia tapparle la bocca, per un attimo, ma le dita non arrivano a sfiorare i denti esposti quanto piuttosto la guancia tesa e pallida. E' il polso a fermarsi vicino alle labbra di Jane, a premersi contro di esse finché non accadrà l'inevitabile e lei, o le sue fauci, non graffieranno l'epidermide scura dello zingaro e faranno cadere quella goccia di troppo. L'unica che serve a vincere quella guerra.
    < ...ma mi farai del male, se lascerai che sia il tuo corpo a controllarti. > Se l'astinenza e la fame guidano ogni sua mossa, finirà per fargli molto male. Finiranno per farsi male a vicenda. < ...fallo e ...controllati. Fallo...Evangeline. >
     
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    Jane Doe

    Asanbosam

    Vampiro



    Edward la confonde. Quando credeva di aver capito qualcosa di lui, basta solo una parola a smentirla. Non sa nemmeno se le piace davvero come lui sta colmando gli spazi vuoti che ha dentro, come la fa sentire. Si stava abituando a essere un guscio vuoto, che al massimo vibrava sempre e solo delle stesse emozioni: rabbia, disgusto, tristezza. E invece c'è quella parte di lei che lo riconosce con immediatezza e familiarità, con sollievo e con dolore. Non importa se i ricordi sono andati in mille pezzi, lui le ha lasciato un segno indelebile dentro che è sopravvissuto alla distanza, agli anni. E alla morte stessa. Doveva essere qualcuno di importante lo Stregone che ha davanti se lo riconosce con ogni fibra del suo essere ma non con la mente. Può essere solo qualcuno che ha amato profondamente o al contrario, qualcuno che ha odiato sino alla follia. E lei sa già qual è la verità, ancora prima di ricordarla davvero. Deve significare qualcosa se si rifiuta categoricamente di volergli fare del male, se ha il terrore di farlo avvicinare ed è così riluttante nel sottostare all'esame del suo sguardo. Ci sono le ombre ad offuscare i dettagli più disumani che la fanno somigliare ad un triste manichino che hanno gettato via. Vorrebbe ingannare se stessa, e persino lui, simulando il principio di un respiro che le solleva il petto, spezzandone la piatta monotonia. Desiderando per un solo istante di essere davvero viva, gradevole alla vista e ai sensi. Ha ancora quei lineamenti cesellati di una dolcezza naturale e pallida, da brava ragazza, che un tempo la rendevano solare: ora sono intrisi di un'attraente e muta malinconia. Hanno sempre una certa bellezza i vampiri, con qualcosa di inesorabilmente inquietante che si trascinano dietro insieme al loro gelo. Esercitano lo stesso fascino del pericolo, e le prede lo sanno, lo sentono, ma non possono fare a meno di avvicinarsi e magari di scoprire com'è finire sotto i loro canini. Belli, dannati e carismatici. Alcuni lo sono, altri scelgono di essere terrificanti. Jane Doe invece somiglia più a un Angelo. Uno caduto, che è finito per schiantarsi in malo modo tra fango e polvere. Se realmente esistono è facile immaginarli con la sua stessa aria affranta e smarrita, stropicciata. E come lei devono sembrare del tutto fuori posto, con le ali spezzate, incapaci di spiccare il volo. Solo che lei non guarda verso l'alto, ma in avanti verso Edward, neanche fosse lui il Paradiso perduto mentre l'inferno la trascina giù, sempre più giù. < N-non... > La sua voce incespica e sembra d'improvviso così a disagio che dopo viene fuori in un sussurro assottigliato. < Non ti importava? > Perchè la stavano braccando. Perchè ha dovuto far sparire le proprie tracce. Il suo bisogno di sapere, di capire, era intenso, struggente. Era. Perchè l'istante dopo si sente così in soggezione da pentirsi di averglielo domandato. Una risposta in fin dei conti gliel'ha già data, facendola sentire colpevole, qualsiasi ruolo lei abbia avuto in tutta la faccenda. E' frustrante non ricordare e non potersi neanche difendere. Ma le spalle calano con devastante accettazione, dandogli ragione. < No, non il mio Creatore. Lui deve soffrire > C'è una violenza gelida dietro quell'unica affermazione. Succede che le vittime sono costrette a diventare loro stesse carnefici, lasciandosi consumare dalla vendetta. E ci sono cose che lei non riesce a perdonare o a dimenticare, che devono essere lavate con il sangue. Il problema non è stato morire, ma quello che ha reso il suo risveglio terrificante e tormentato. Quello che è successo dopo, che l'ha portata più volte sull'orlo della follia. E se un vampiro è terrorizzato dalla stessa oscurità che dovrebbe fargli da culla e proteggerlo è già condannato a fallire. Ma non è importante che Edward lo sappia, come non sembra importargli del resto.


    < Allora continuerò a essere Jane Doe > Il nome se l'è dato da sola, uno che non significa niente e che solitamente si affibbia a quelli senza identità. Non vuole strappargli altre risposte, non quando persino lui sembra confuso. Ma è la sua vicinanza, quella pericolosa vicinanza a offrirle quello di cui ha bisogno per ricordare. Qualcosa, non tutto. Vengono a galla come segreti custoditi gelosamente., sopraffacendola. Non teme la sua mano, e neanche la sua stretta. O come le incombe alle spalle. Quelli le ricordano i suoi abbracci e come il suo petto era un caldo rifugio. Quanto le piaceva baciarlo, toccarlo. Tormentarlo. E le dita fremono dalla voglia di farlo, di ritrovare quella sensazione che le faceva battere forte il cuore. Che la faceva sentire così viva. < Edward... > Ricorda il suo nome e per una minuscola frazione di secondo gli angoli delle sue labbra hanno un sussulto verso l'alto nella virgola di un sorriso che non arriverà mai davvero a esprimersi. Con quanti vezzeggiativi buffi lo ha costretto a convivere, e c'era un solo nomignolo in grado di farlo infuriare. Quante piccole sciocchezze le affollano la mente in pochi secondi, facendola sussultare, anche se mancano altri frammenti, i più fondamentali, per ricostruire l'intera storia. Ma quei fotogrammi di colori e memorie, nel buio della sua esistenza, sono abbastanza per farle confessare un'altra lancinante verità: < Quanto mi sei mancato... > Si, dovrebbe smetterla. Ma lei era stata una donna che non le metteva a tacere le emozioni, che non le soffocava. Lasciava che la travolgessero indifferentemente se potevano distruggerla o tenerla in piedi in mezzo a una tempesta. Chi era stata non amava fare le cose a metà e neanche aveva mezze misure. Quella che è diventata può anche concedersi il lusso di ricordare, di aggrapparsi a un lembo del passato per tenerselo stretto, senza farsi troppe illusioni. L'ha ritrovato è vero, e sarà costretta a lasciarlo andare. Ancora una volta. E sarà anche peggiore della prima. Davvero non lo obbligava a fare niente? Non lo sta forse costringendo in qualche modo subdolo a darle quello che desidera di più? Una vena da cui attingere, il suo sangue in sacrificio. < Ti prego... > Non allettare il Mostro, non sedurlo con la tua offerta. Non dare nulla al Mostro. Fa male resistergli ed è una battaglia persa in partenza. Ma la sua fragranza è così intensa, i denti scattano e graffiano la sua pelle. E lei impazzisce di un desiderio sordido che la spezza ancora prima di rendersi conto di averlo ferito accidentalmente. Lo sguardo insegue ipnotizzato quel rivolo rosso che sta strisciando lungo la sua epidermide. Ed è perduta. Si avventa contro la sua pelle scura con un rantolo minaccioso e gli pianta brutalmente i canini nella carne con un piccolo gemito di piacere. Le dita si arrampicano sul suo braccio come zampe di ragno prima di serrarsi come tenaglie in un braccaggio incontrollato. Con così tanta forza che rischia di staccarglielo quell'arto, ma per fortuna si limita solo a farlo prigioniero. E beve con un'ingordigia incontrollata, tipica dei neonati, che non sanno darsi una regolata. E' più il sangue che le si sbava attorno alle labbra di quello che le bagna realmente il palato: finisce sempre per imbrattarsi tutta la faccia. Un vampiro anziano resterebbe inorridito da tanto spreco, che a differenza sua, saprebbe attingere da una vena senza neanche farsi sfuggire una sola goccia. Ma l'Asanbosam è vorace, consumata da una sete che non riesce mai realmente a soddisfare. I lineamenti, tirati in una maschera di ferocia, si ammorbidiscono in fretta in smorfie più estatiche. Il suo sangue è così dolce, così attraente che non riesce a smettere, un'afrodisiaco contro la lingua. Lenisce le fitte allo stomaco, mette a tacere la frenesia che la consuma dentro e la riscalda come niente riesce più a fare. E' un tepore meraviglioso, rinvigorente, che mette a tacere ogni pensiero. Eppure c'è una voce che la distrae, che arriva ovattata al suo orecchio. Perchè non tace? Perchè deve rovinare quel momento perfetto? Controllati. Ma lei è così perdutamente attaccata alla sua vena, come una bambina al suo giocattolo preferito, da non volersene separare. Controllati. E' così buono il sangue, così buono. Il sangue di Edward. Solleva piano le palpebre che aveva serrato, i denti ancora nel suo braccio, le labbra contro la sua pelle. Riesce a rallentare e non sembra più un tentativo di dissanguarlo. Evangeline. Ma è un nome troppo gentile per lei, che la richiama alla coscienza. Che la riporta alla realtà. E le fa tirare indietro la testa con un piccolo scatto e un singulto roco, disperato. E forse lo Stregone neanche può immaginare che sforzo sovrumano ha dovuto fare solo per separarsi da lui di qualche centimetro. Per riprendere il controllo. E già ha la tentazione di tornare a seviziare la sua vena. Invece si accontenta di leccarsi le labbra lucide di scarlatto mentre finirà per illividirgli il braccio con dieci dita strette contro la sua carne. Gli si aggrappa, o forse finirà per sorreggerlo. Di quanto sangue l'ha privato? Troppo. E' sempre troppo. Ma forse, per la prima volta, si è fermata prima che sia troppo tardi. Non lo guarda perchè forse non vuole cadere in tentazione. Con lo sguardo che ripercorre gli affreschi della Chiesa, con la mente ancora offuscata e il proprio nome che riecheggia ancora e ancora, dopo averlo finalmente ritrovato. E gli occhi che si allargano sul Gesù pargolo tra le braccia della Madonna. Madre e figlio. Madre-e-figlio. Che blasfemia nutrirsi in una Chiesa.< ... > Cosa ha fatto? < Edward > E' un richiamo esile ma disperato. Sta bene? Quanto vorrebbe stringerselo contro. Ma non gli ha già fatto male abbastanza? Le sue ferite sono ancora aperte e accosta di nuovo le labbra, ma non i denti. Le viene istintivo, naturale, lambirle con la lingua, accarezzare i loro bordi frastagliati < Mi dispiace > Glielo mormora contro la pelle martoriata, che non tarderà a cicatrizzarsi sotto la sua lingua gentile, ma colpevole. Il piacere è sempre labile, dopo. Il ricordo dell'estasi passa in fretta e si lascia dietro solo costernazione. Un'occhiata alle mani, che si guarda con disgusto. Con un rifiuto che ha scritto in faccia e qualcos'altro in quello sguardo che nasconde un ricordo che fa più male di tutti gli altri. < Parlami, ti prego > Può essere stremato, o svenuto. Debole o ancora abbastanza forte da reggersi in piedi. Ma in ogni caso non riesce a guardarlo negli occhi e neanche a lasciarlo andare. Non subito. Sempre che nel frattempo non abbia usato uno dei suoi trucchetti per allontanarla.



    Edited by MaiUnaGìoia - 7/11/2021, 02:54
     
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    Edward Evory

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    Stregone

    La donna è zuppa d'acqua. Se ne accorge in ritardo perché il freddo della sua aura è più forte di qualunque percezione sensoriale o forse perché non se lo aspettava, e lo percepisce come un pugno nello stomaco. Mentre la tocca cerca di ricordarsi cosa ne pensava di loro, dei Vampiri, prima che iniziasse a riferirsi a quelle creature come a nulla di diverso da lui: fanno quel che devono fare per sopravvivere. Se qualcuno supera qualche limite allora Edward semplicemente deve ricordarsi che non è più il suo compito quello di rimetterli in riga.
    Un tempo passava parte della sua giornata a rimuginare sul proprio giudizio spietato contro creature con troppo potere e poca ragionevolezza ma ha smesso di farlo quasi immediatamente dopo aver lasciato i Cacciatori, soverchiato da un nuovo accentramento di potere. Uno che riguarda solo sè stesso.
    Ma adesso deve arrendersi definitivamente al fatto che quando si tratta di Lei, tutto viene rimesso in discussione. Lo Stregone aveva una sua personale scala di giudizio ed i succhiasangue erano più o meno alla cima di tutte le categorie, tra pericolosità e intelligenza, inganno e forza. Racchiudevano quasi tutto il potenziale di una creatura perfetta con un'unica debolezza: la luce del sole. Erano la sua preda preferita. E adesso? Adesso ringrazia che se proprio doveva capitarle di finire in quel mondo, lo ha fatto mettendo piede nella più distruttiva delle soluzioni. Per questo ogni dettaglio perde di reale importanza e si dimentica di risponderle, di dirle che non gli interessavano le ragioni per le quali la braccavano perchè non sapeva che lei fosse braccata e la credeva m o r t a. Quante volte deve ripeterglielo? < Perchè? > Si interessa invece a capire come il suo creatore si sia guadagnato quella gelida promessa di vendetta. L'ha trasformata probabilmente contro il suo volere, forse nel più brutale dei modi. Un principio di rabbia risale a galla assieme alla visione di tutto quello che potrebbe essere successo ma Edward - appunto - non è bravo con l'immaginazione, così spinge in basso ogni fantasia e si concentra su quel momento. Su quello e basta.

    Finché rimane alle sue spalle può anche fingere che l'abbia raggiunta per assicurarsi che quella non fosse una trappola ed essere pronto a reagire. Ma quando nulla sbuca dall'ombra per ucciderlo, allora smette di mentire a sè stesso ed ancora una volta la circonda solo perchè aveva voglia di farlo. Di aggrapparsi ad un fantasma, probabilmente, perché Evangeline è un'ombra sbiadita di un passato che ha provato a cancellare in tutti i modi. Gli aloni rimangono sempre e, se ci passi sopra un solo respiro, si fanno anche più intensi e ricordi esattamente cosa ti aveva spinto a farli. La vampira ha perso la memoria ma sta vivendo qualcosa di non troppo simile a quello che affolla mente e corpo dello Stregone quando lei pronuncia il suo nome. Ha insieme voglia di stringerla fino a farla scomparire o probabilmente finchè non sarà sicuro che non vada più via, ma lui è un tipo pragmatico e lo sa che sta soltanto lasciando che vincano le emozioni solo per un attimo. Si, è bravo a soffocarle, perchè quando lascia che fluiscano libere rischia di essere lui ad annegarci dentro. Evory è stato un ragazzo divorato dalle emozioni, dal rancore, dall'invidia, dalla giustizia. I sentimenti lo hanno plasmato per la sua intera vita e non c'è da stupirsi se alla fine ha scelto la via più facile, cioè quella di affidarsi ad una causa più grande di lui e delle regole che gli consentissero di non agire d'impulso. Perchè l'impulso è da cani e lui ha voluto essere uno di quelli addestrati, efficienti, letali.
    In questo momento vuole solo ricordarsi com'era quella sensazione. Quella pace. Anche se è soltanto l'illusione di una voce familiare nel buio di una Chiesa fredda, in cui non aveva mai messo piede prima di allora. Tutto è sbagliato in quel momento, blasfemo. Come può rendersi conto che chiederle di nutrirsi lì dentro sia qualcosa di così abominevole? A lui pare solo la ciliegina su una torta che hanno imbastito con l'ombra e la diffidenza tra le mura di un Dio che professa il perdono. < ...fallo e ...controllati. Fallo...Evangeline. >
    Sono le ultime cose che le dice perchè poi non ci sarà bisogno che aggiunga altro. Troppo vicini, troppo feriti per quel mostro che si nutre di sofferenza. La pelle del suo polso si lacera come burro contro i denti affilati della vampira e in poche gocce ha sancito la vittoria. Le dita fermano il braccio, i muscoli non oppongono resistenza ma ha un breve sussulto quando lei affonda davvero nella carne. Quello che importa è che l'attimo sia passato prima che avesse tempo di pensarci, perchè non aveva mai concesso a nessuno di infilargli i denti nel collo o in nessuna altra parte del corpo. Doveva davvero dirglielo? Sarebbe equivalso ad ammettere che con lei è ancora debole come lo è sempre stato, sempre che l'averla inseguita sino a lì non sia già una prova sufficiente. Non ha fatto tutta quella strada per voltarle le spalle, anche se si aspettava qualunque cosa tranne che quella.
    Fa male ma è solo un attimo, perchè presto il torpore annulla qualunque altra cosa. Gli impedirebbe di allontanarla anche se volesse, piegandogli le ginocchia in un cedimento motorio involontario, crolla al suolo e se la porta appresso. Anzi, è lei che gli rimane attaccata. Le avrebbe concesso di continuare a nutrirsi, tirargli via fino all'ultima goccia di sangue. Edward ha lo sguardo socchiuso sulla vista del profilo della sua Evangeline che sugge euforicamente dalla pelle insanguinata, schizzando il pavimento come un pessimo artista con la sua tela. Le avrebbe concesso la sua vita se solo non fosse morta ma questo non glielo ha mai detto, perchè le regole volevano che lui mettesse la giustizia per gli altri davanti alla propria. Adesso non c'è più niente che glielo impedisce, la sente fluire via quella vita che avrebbe volentieri ceduto al posto suo, se l'avesse saputa in pericolo. Con questi pensieri a scalzare la cruda realtà, lo Stregone quasi non si rende conto che lei ha staccato il volto dal braccio e si sta rivolgendo a lui. Dov'è, a terra? No, si è trascinato sulla panca ed è seduto con la schiena curva, anche se non ricorda di averlo fatto. Alza le palpebre su quegli occhi troppo chiari, li spinge a guardare lei e ritornare coi piedi per terra. Lei è viva ma non è più Evangeline, non lo è stata per troppo tempo. Adesso farà bene a continuare ad essere Jane Doe, qualunque cosa significhi per lei, perchè non è tempo di quella pace, non più. <...mi sei mancata così fottutamente a lungo... > L'accento della sua isola rende la frase più rozza di quanto non volesse, una pietra grezza che si scontra con le sue suppliche. Sta parlando senza far caso alla ferita ricucita: la debolezza non si cancella con un po' di saliva sovrannaturale. Però mentre lei si allontana per guardarsi le mani insanguinate, lui le prende un polso per impedirle di spingersi oltre e scomparire in un nugolo di pipistrelli. <...non dispiacerti...te l'ho chiesto io. E dovresti controllarlo o sarà lui a controllare te...Jane. > Non ce la fa a pronunciare il suo nome. Ci ha provato, ha esitato, ma è troppo dolceamaro sulle sue labbra. Alla fine si arrende a quell'alias che lei stessa ha scelto. < Questo è il tuo...unico modo di vincere. > Per quanto possa provare a ribellarsi alla sua natura, quella sarà sempre più forte. Impossibile morire di fame: finirà solo per attaccarsi al collo di un passante senza rendersene conto. Sente l'odore metallico del sangue ovunque su di lui, sulla pelle e sui vestiti, ma non ha nessuna voglia di darsi una ripulita. Dopo qualche istante di assoluto silenzio, un sospiro rilascia gli ultimi residui di nebbia dalla propria espressione facciale e questa si fa tagliente. < Devo capire cosa ci faccio qui. Non mi avresti mai scritto se non si fosse trattato di una questione...di vita o di morte. > La voce è mite, disturba l'udito con note troppo grevi per essere limpida. Il timbro è sporco come il colore della sua pelle o la storia nel suo sguardo. < Hai idea di dove cominciare a cercare? >
     
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    Non riesce a ricordare ancora del tutto la donna che era stata. Ma inizia ad avere memoria di come la faceva sentire Edward, anche quando tutto era più complicato e difficile. Era felice. E' una sensazione potente che si accompagna ad ogni immagine tirata fuori dall'oblio della dimenticanza. Quella carrellata di flashback suscita emozioni che a malapena è in grado di sopportare, che fatica a gestire. Che le fanno venire voglia di chiudere gli occhi e di restarsene tra le sue braccia così, per sempre. Per protrarre all'infinito quel momento di riconoscimento, di sollievo e di tormento. E' certa che il suo tepore prima o poi riuscirebbe a sconfiggere il gelo sotto cui è stata seppellita Evangeline, ma non è quello il compito dello Stregone.
    < Perchè voleva solo punirmi e condannarmi. Perchè ha detto che era quello che meritavo. Una morte che non sarebbe stata sollievo e liberazione... > Potrebbe fermarsi a questo, ma probabilmente non basterebbe da solo a giustificare il rancore e l'odio che nutre nei confronti del proprio Creatore. < Sembrava sapere esattamente che sarei impazzita nel risvegliarmi chiusa in una bara, sotto metri e metri di terra... > Anche a lui deve averlo raccontato una volta che uno dei suoi peggiori incubi era proprio quello, un timore che non è poi così poco comune: essere seppelliti vivi. < Quando ho aperto gli occhi riuscivo a vedere esattamente quanto fosse piccola, stretta. Non avevo scampo. Mi sentivo soffocare e stringere la gola anche se non avevo più bisogno di respirare. E urlavo, urlavo. Supplicavo mentre cercavo di rompere la bara e la terra mi graffiava gli occhi, mi riempiva la bocca... > Non ha modo per fermare il formicolio di panico che si accompagna a quel primo ricordo che ha in assoluto. Uno che le è rimasto vivido nella mente, intenso, ed è in grado di annichilirla. < Credo di essere impazzita. Ci ho messo ore per liberarmi. E avevo la gola che mi bruciava, lo stomaco a pezzi, sembrava che mi stessero sventrando. Ero così debole. Così confusa. Così assetata. Così sola...> Deve continuare? A Edward interessa davvero ogni dettaglio del suo risveglio e del suo odio? Piega la testa all'indietro per cercare il suo sguardo con il proprio, tra la cornice di capelli umidi. Solo gli occhi, leggermente sgranati, tradiscono il suo reale turbamento, mentre il suo volto si è fatto inespressivo, come una maschera di cera. < Mi ha lasciata in un cimitero abbandonato, lontano parecchie miglia da qualsiasi centro abitato. C'erano solo i topi. E di quelli mi sono nutrita > Anche il suo tono si è appiattito. E' un bisbiglio monotono, scevro di emozione. < Non ho tutto il diritto di odiarlo? > Ma non vuole pensare al proprio Creatore mentre altri ricordi, più piacevoli, si accavallano. Mentre il suo abbraccio la consuma e la tentazione del suo sangue sta corrodendo il suo autocontrollo, istante dopo istante. Al desiderio di vendetta subentra la sete, il bisogno. E tutto il resto passa in secondo piano in fretta.

    Piantargli i canini nella carne è inevitabile. Bere il suo sangue è idilliaco e lasciarlo vivo non era per niente scontato. Ma all'estasi del Morso segue sempre il pentimento, il disgusto, l'agonia. Con Edward è anche peggio. Non riesce a perdonarsi e neanche a giustificarsi. L'ha seguito su quella panca, sorreggendolo. Respira ancora, è vivo, ed è quello che conta. Ma è alla sua rozza confessione che si immobilizza. E' quando la trattiene dal polso che lo guarda. E' così strana con quella faccia imbrattata di sangue e quel paio di occhi pieni di dolore: è una contraddizione di violenza e fragilità. Allunga le dita verso il suo profilo sfregiato, corrotta dall'impulso di toccarlo. Poi si ricorda che non sa essere propriamente delicata, e allora rinuncia in fretta quando invece vorrebbe solo stringerlo. Toccarlo ancora e ancora. Si accuccia vicino le sue gambe e appoggia il profilo contro la sua coscia. E spinge il viso contro la sua mano, come un animale in cerca di una carezza. E' patetica. E' disperata. E poi si ritrae dopo pochi istanti, sconfitta, perchè lei non ha più alcun diritto di esigere da lui alcunchè. Glielo ricorda quando la chiama Jane. E Jane non è nessuno. < Darei qualsiasi cosa per tornare ad essere Evangeline. Qualsiasi cosa... > Confessa senza guardarlo. Ma non ha più niente da dare, più niente con cui barattare quella possibilità: ha perso tutto. Ora ha solo il suo dolce sapore contro il palato, il rosso del suo sangue contro le labbra e il tepore che gli ha rubato, che l'ha riscaldata più di quanto merita. Non sembra più così pallida ora che si è nutrita, ma non sembra neanche appagata. Sembra solo infelice. < Non manca molto all'alba. Devo andare. Devo trovare un rifugio... > Solleva lo sguardo verso l'alto, verso il soffitto. Apparentemente in direzione del cielo, da cui teme l'arrivo del giorno. Invece guarda l'affresco che ha risvegliato un altro frammento importante di memoria. La Madonna con il Gesù Bambino la costringono ad andare avanti. < Domani, dopo il tramonto, devo mostrarti una cosa. E poi ti prometto che tornerò ad essere morta. Morta per davvero, per sempre > Ecco perchè non potrà mai vincere, perchè ha già deciso che non intende sopravvivere a troppe albe. Non è per se stessa che gli ha scritto quel messaggio, ma per raccontargli tutte le verità che gli ha taciuto. Mormora un indirizzo, presumibilmente il luogo del loro prossimo incontro. < Dove posso accompagnarti? > Non intende abbandonarlo dopo averlo indebolito. Il minimo che può fare è scortarlo in un posto sicuro e lasciarlo al riposo che merita. Da per scontato che si separeranno, perchè non crede che lui abbia voglia di passare altro tempo con lei. O di farlo poi in un cimitero, o nelle fogne, dove lei è solita rifugiarsi.



    Edited by MaiUnaGìoia - 22/11/2021, 00:59
     
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