Showdown

Javor & Chirikli

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    Chirikli Veres

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    C’era una volta, nella grande foresta, un maestoso leone, che si riposava all’ombra di un grande albero.
    Stava controllando se in lontananza c’erano delle prede da poter cacciare, ma in quel momento non vedeva niente di interessante.
    Così il pomeriggio passava lento. All’orizzonte non c’era nessuna preda da poter prendere e la pancia iniziava a brontolare dalla fame.

    ...



    Quando quella donna era arrivata, si trovava al braccio di un impeccabile e benestante cliente che aveva tutta l'aria di non sapere di preciso cosa stesse facendo. Ma finché ha potuto tenersi stretta la sconosciuta dai capelli rossi, non gli importava nemmeno tanto.
    Dopo un'oretta, la donna lo aveva convinto a finanziarla per il resto della serata, in cambio di un premio - una volta usciti da lì - che lui ancora non sa che non riscuoterà mai.
    Così Chirikli ha potuto sfruttare l'affollata moltitudine di sale ed aree gioco, terrazzi, tavoli e macchinette per confondersi tra la gente e giocare. Ha iniziato con le slot machine, le sue preferite: le basta solo toccarle per mandarle in corto circuito nel momento giusto per spillare loro un sacco di gettoni. Dopo di quelle si è avvicinata ai tavoli di giochi d'azzardo ma non ha giocato da sola, tornando ad affiancare il suo compagno per qualche mano di poker. Ovviamente non ha potuto truccare le carte, sotto gli occhi troppo vigili di giocatori esperti, ma l'è bastato aggirare il tavolo stesso - e sfiorare coi polpastrelli la nuca di qualcuno di loro - per sussurrare le più pessime delle strategie. Presto hanno iniziato a puntare somme esagerate su carte pietose, arrendersi quando avevano la vittoria in mano o farsi sfuggire le più comprensibili delle espressioni.
    Da quel tavolo, l'uomo che l'ha accompagnata all'interno inizia a credere che quel bocconcino sia stato mandato direttamente da Dio: ha già le tasche piene e sono solo all'inizio della serata.
    Quando la Fata si è nuovamente allontanata, ha optato per partite a mano singole come i dadi, il baccarat o un gioco da tavolo cinese che sfrutta le tessere del domino: in quel caso creare illusioni che distorcessero la realtà è stato possibile, mutando numeri e figure. Anche di lì, dopo un po', ha dovuto distanziarsi. E man mano che passa il tempo, diventa sempre più evidente che faccia il meno possibile per nascondersi, passeggiando sotto le volte colorate e post moderne dell'Harrah con le dita occupate da bicchieri di Champagne o cocktail ben più pesanti.
    Il tempo scorre ed i giochi dovranno finire presto.

    ...



    Il leone all'ombra della scalinata sembra aver perso interesse per il gioco d'azzardo e continua ad osservare l'orizzonte. Ha un credito notevole da poter riscuotere e nessuna intenzione di farlo. Non ancora.
    Sulle scarpe dorate che si agganciano con un laccio sottile alle caviglie, sembra più alta e slanciata di quanto sia normalmente. Il vestito è modellato appositamente per seguire le curve sottili, le membra magre e le forme appena accennate, ma si apre anche perché quello che c'è le piace spesso mostrare. Dopotutto alla veneranda età di più di cento anni, sembra ancora poco più di una ragazzina dalla pelle diafana e con delle striature blu elettrico che sulla chioma sembrano un richiamo di tintura, ma sono genetica inumana. Anche lo sguardo non è nulla di umanamente conosciuto, ed a ben avvicinarsi ha una sfumatura così intensa ed accesa di blu da sembrare percorso da quella stessa elettricità che scorre nelle sue vene. Quello che le piace di quel vestito è che - oltre a sembrare di una foggia costosissima ma illusoria - si apre sulla schiena il necessario a renderle semplice sfoderare le ali. Ci pensano i capelli a coprirla, come se le interessasse poi molto la pudicizia.

    Quello che molti non sanno è che frema di impazienza e trepidazione. Madame Chirí non entrava in quel posto da cinque lunghi anni e nemmeno per lei sono un battito di ciglia. Il cuore batte nel suo petto come un tamburo a festa, facendo luccicare il suo sguardo e tremare leggermente quelle dita che si sorreggono al corrimano che curva dolcemente verso il piano superiore.
    Nemmeno i suoi figli saprebbero indovinare cosa muova i fili del suo umore in quel momento, perché rischia di essere un'emozione così umana da distruggere la fiabesca ed astratta idea che Chirikli non sia nemmeno di questo mondo. Figurarsi esserne afflitta. Come si sbagliano.
    Gli occhi percorrono la sala sotto di lei con curiosità, sperando di cogliere qualcosa o qualcuno che già conosca. Non è arrivata al casinò per il gusto di esserci e non aveva certo bisogno di tutto quel denaro che l'aspetta alle casse.
    No, c'è un altro gioco che si dovrà giocare quella sera ed è il più d'azzardo di tutti.


    Edited by I Fondatori - 20/10/2021, 17:35
     
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    < parlato Javor >
    < pensato Javor >
    < Gomory >


    Controllare diecimila e settecento metri quadrati era un'impresa titanica, ma non impossibile. Oltre a uno schieramento serrato e coordinato di uomini - e donne - della sicurezza, non mancava l'occhio elettronico di telecamere di sorveglianza posizionate strategicamente per coprire tutta l'area interna, ed esterna, del Casinò Harrah. Con le sue duemila e cento slot machine, oltre novanta giochi da tavolo e diverse sale da poker, il divertimento e l'intrattenimento era assicurato. Lo si potrebbe definire un vero e proprio resort, dotato di ogni comfort: dai buffet alla cucina raffinata, non mancano neanche le camere di lusso per la clientela più esigente. E si parla di quattrocentocinquanta camere suddivise su ventisette piani di una Torre.

    Chirikli Veres ne aveva di occhi puntati addosso. Lei e il suo accompagnatore che stavano facendo fortuna tra i tavoli. Attirano immediatamente l'attenzione, perchè chi vince facile entra subito nel mirino degli addetti della sicurezza. Ma stranamente nessuno dei due viene disturbato, o avvicinato. Il gioco, per loro, prosegue senza incidenti o interruzioni, qualunque somma ingente siano riusciti a racimolare. Perchè qualcuno l'ha riconosciuta la Fata, e la ricorda bene: una donna come lei non si dimentica così facilmente. Neanche dopo cinque anni. Ed è facile che Chirì possa ritrovare qualche volto, di quelli della vecchia guardia, a lasciarle un segno di familiarità che però manca di interazione e di approccio. Se ne stanno alla larga loro, ma si sono fatti immediatamente nervosi non appena sono stati certi della sua identità. Perchè di lei ci sono dettagli unici che un uomo guarda, memorizza, ricorda. E non dimentica mai. La verità è che nessuno di loro ha il coraggio di avvertire il Proprietario che lei è lì, timorosi di come apprenderebbe la notizia. Si rimbalzano tra loro la patata bollente, sino a coinvolgere i nuovi del giro. Quelli che non sanno. E che sarebbero perfetti come vittime sacrificali.

    La voce arriva anche a Etienne. Attuale primo Luogotenente e braccio destro di Javor, è un creolo di quasi cinquant'anni, umano, che la Fata potrebbe ricordare bene come amico e collega del serbo. Facevano sempre coppia nella sicurezza, cinque anni fa: erano l'uno l'ombra dell'altro. Dall'aspetto lo si può classificare come innocuo. Non ha una stazza imponente, è nella media, tozzo. E' uno di quelli che parla poco, ma che ascolta e osserva molto. E mai con superficialità. Il suo vantaggio è che non lo credono pericoloso e sottovalutarlo è la cosa peggiore che si potrebbe fare. Dietro la calma piatta del suo sguardo, c'è astuzia e intelligenza. Ha una mira letale e il dito facile sul grilletto. E guarda Madame Chirì dall'alto della ringhiera del secondo piano. Immobile, con un'espressione indecifrabile. Ma senza Javor al suo fianco, come in passato. Invece scambia due parole con un uomo allampanato vicino, poi si volta e s'incammina, zoppicando, verso l'ascensore privato riservato solo al personale del Casinò. Anche quel passo claudicante è una novità, perchè in cinque anni di cose ne sono cambiate. Le porte dell'ascensore si chiudono, ma non punta verso i piani superiori: scende verso il seminterrato.

    Ci sono magazzini li sotto e stanze che non hanno niente a che fare con lo sfarzo e il lusso dei piani superiori. Il Casinò è la facciata di un'organizzazione criminale che svolge i suoi affari in parallelo al gioco e al divertimento. E lì sotto al momento si sta tenendo una piccola riunione. In una stanza spoglia, umida, arredata solo con un paio di grosse casse in legno vuote, ci sono due uomini inginocchiati. Hanno ancora la divisa da croupier addosso, ormai rovinata da alcuni strappi e sangue. Sono stati pestati per bene, alla vecchia maniera. Con pugni e calci. Che implica qualche osso rotto, qualche costola incrinata, e due volti tumefatti. Li stanno interrogando, ma dicono che solo uno di loro è colpevole di aver rubato dalle casse e anche ai clienti: si stanno accusando a vicenda. Sotto alla debole e tremolante luce di un neon sono due uomini e una donna che si stanno accanendo su di loro. Alle loro spalle, in ombra, il Proprietario dell'Harrah se ne sta con le spalle appoggiate al muro, dando loro il profilo. L'unico punto luminoso di lui è l'estremità della sigaretta che brucia come un piccolo occhio rosso nel buio. Non si gode lo spettacolo, come se lo trovasse estremamente noioso, o di poca importanza. Ma sta ascoltando ogni singolo scambio, sta valutando l'atteggiamento dei propri uomini e come stanno gestendo tutta la faccenda. E dal sospiro che sfugge insieme a uno sbuffo di fumo si direbbe che non sia affatto soddisfatto. Si stava annoiando e non era il solo: sentiva il demone muoversi ai confini della sua coscienza, insinuante come una carezza. Ed era certo di aver sentito sospirare anche lui per l'inettitudine di cui entrambi erano testimoni. Gomory non era una presenza ingombrante nella sua mente, ma avevano raggiunto un'affinità tale che spesso non serviva nemmeno intrecciare i loro pensieri: erano ormai complici anche nei silenzi più densi e prolungati. Si ritrova tre paia di occhi addosso - quelli dei suoi uomini - e non sanno come interpretare il suo silenzio. La sua immobilità. E la sua indifferenza. Non lo conoscono ancora bene e forse non arriveranno mai a farlo: preferisce tenerli sotto scacco con la sua imprevedibilità. Gli altri due, in ginocchio, non hanno ancora smesso di accusarsi a vicenda, ma stanno anche supplicando per avere salva la pelle. Non stanno neanche conservando un briciolo di dignità.

    Sta spegnendo la sigaretta sotto la suola della scarpa, ha lo sguardo basso quando Etienne lo raggiunge.
    < Madame Chirì è qui >
    Bastano solo quelle quattro parole a far raggelare il serbo per qualche istante di troppo. A fargli agitare il cuore e mandargli il sangue al cervello.
    < Vieni dal ciel profondo o l’abisso t’esprime, Bellezza? Dal tuo sguardo infernale e divino piovono senza scelta il beneficio e il crimine, e in questo ti si può apparentare al vino >
    Si è subito svegliato Gomory. Il lussurioso demone che a quanto pare ha sviluppato una vena poetica con una predilizione per Baudelaire. Un solo versetto, un Inno alla Bellezza, per quella spina avvelenata che il suo burattino ha conficcata tra le costole. Sono le sue emozioni più violente, contrastanti, a dargli voce e potere. E in quel momento Javor ne ha persino un carico in eccesso, arrivato come una scarica emotiva che gli ha fatto vibrare tendini e nervi. Sfila la pistola semiautomatica dalla fondina ascellare con un movimento fluido, sicuro, mentre solleva lo sguardo e l'accenno di un vago e strano sorriso gli increspa le labbra. Il rumore dello scarrellamento mette in allarme i tre uomini, che si aprono a ventaglio davanti a lui liberandogli la linea di tiro. Istintivamente hanno messo mano al calcio della loro pistola, ma il serbo sta già sparando: un primo colpo in fronte all'uomo inginocchiato sulla destra. E gli basta spostare la mira sul secondo per fare altrettanto. Due colpi rapidi, puliti, attutiti dal silenziatore. Gli altri tre si aspettano di fare la stessa fine, ma rischiano solo se si azzardano a puntargli contro la pistola. Ma sono troppo intelligenti per farlo. O forse troppo sorpresi.

    < Sono entrambi colpevoli, entrambi complici. Fateli sparire e svegliatevi. Non me ne faccio nulla di un branco di inetti > Suo il Casinò, sue le regole. Dai dipendenti esige la massima correttezza. Dai suoi uomini quantomeno capacità cognitive accettabili che non gli faccia pentire di averli al proprio soldo. Rinfodera la pistola e si sistema la giacca del completo scuro sulla camicia nera. Poi si volta, invitando Etienne a seguirlo.
    < Si accompagna a un uomo. E lei non è cambiata poi molto > Lo stava informando intanto, mentre entravano in ascensore. Non stava neanche parlando del fascino di quella Fata, immutato nel tempo, ma del modo in cui riusciva a fare impazzire le macchinette e a fregare gli altri con i suoi trucchetti. < Portala da me. E sbarazzati di lui > Due semplici ordini, chiari e concisi. Con un'inflessione sottilmente violenta nello strascico del suo accento.

    Ed è sulla scalinata opposta a quella della Fata che ricompare Etienne insieme a un altro paio di uomini. Aspetta di incrociare il suo sguardo prima di chinare la testa verso di lei in un muto saluto. Poi le fa cenno verso l'ascensore aperto alle proprie spalle, in un invito esplicito. Nessuna costrizione, nessuna parola, come se lei fosse di casa lì, libera di fare come più le aggrada e senza la necessità di essere fiancheggiata e scortata da un paio di uomini. Quelli solitamente non sono di buon auspicio come presto scoprirà il suo accompagnatore. Non sarà neanche fortunato come credeva: Chirì l'ha solo condannato. Javor invece la sta aspettando, più o meno da solo, in ascensore. Con indosso abiti nuovi, migliori. E non si tratta solo di quelli d'alta sartoria che ci si aspetti indossi chi ha in mano le chiavi dell'Harrah. Ora vibra di un'aura bollente, tormentata, e si porta dietro un pezzo d'inferno.




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    Spesso si commette l'errore di credere che per Comandare si debba avere un polso di ferro ed un controllo impeccabile, su tutto ciò che si ha attorno. Su questo Chirikli e Javor hanno intessuto la loro esistenza perché fosse diametralmente opposta: lei si limita a dirigere un'orchestra di libertà e caos senza confini e senza regole.
    Ad esempio, al suo controllo sfuggono parecchie cose - come la sorte dell'accompagnatore che ha ben pensato di accettare il suo invito - e di nessuna di queste ha di che preoccuparsene. Non era forse suo libero arbitrio accettare di avvicinarla? Non ha neanche usato uno dei suoi trucchetti per ammaliarlo, no, quella era tutta farina del suo sacco. Sarà bastato un battito di ciglia al momento giusto.
    Un'altra cosa che sfugge al suo volere è il fatto che con centinaia di occhi puntati addosso, tra quelli consapevoli e quelli meno coscienti di chi si stesse aggirando tra loro, non può sapere quando e come finalmente qualcuno si deciderà ad approcciarla. Ma sa che accadrà, di questo è sicura, ed il fatto che sia tenuta sotto controllo era qualcosa che aveva non soltanto previsto, ma anche sperato.
    In effetti ha sollevato lo sguardo proprio quando Etienne le ha voltato le spalle per entrare in ascensore, ed un primo sorriso ha piegato le labbra della donna. Questo prima che la sua mente realizzasse che al fianco dell'uomo non ci fosse chi era abituata a vedere, spalla a spalla con il suo collega, e questo fa scorrere una scarica di elettricità lungo tutto il corrimano. Se ne accorgerà chiunque avrà avuto la sfortuna di essere a contatto con il freddo metallo.

    Che cosa si aspettava di provare, tornando in quel posto?
    Quando ha lasciato New Orleans cinque anni prima, ha dovuto mettere quanta più strada possibile tra sé e la Città per non essere tentata di ritornare sui suoi passi. Quello che manca di lasciar credere a tutti quelli la conoscono è che abbia dei sentimenti quasi umani, laddove l'umanità sta forse nelle priorità che spesso attribuisce alla sua vita: non proprio ordinarie. Neanche i suoi figli credono possibile che Chirikli Veres provi dolore, pentimento o una qualunque manifestazione di emozioni diverse dalla soddisfazione. Quella luminosa patina di sicurezza che circonda tutta la sua figura, da sempre, e che per cento anni ha contribuito a forgiare l'immagine di qualcuno che vive in punta di piedi in quel mondo umano. Troppo leggera per farne parte per davvero.
    E chissà, forse hanno ragione, non ha potuto provare alcuna emozione nell'andarsene. Nessuno può esserne certo se non lei, e custodisce sempre gelosamente quello che le passa per la testa ed il cuore. Ha una certa reputazione da mantenere. Ma adesso? Non è immune a quello che le mura, la musica, i colori e persino l'odore di quel posto scatena nella sua mente e sotto le costole fragili che compongono il busto sottile. Come se quell'edificio di pietra e divertimento fosse un fulcro essenziale dei suoi ricordi e rappresentasse di per sé qualcosa in grado di portarla indietro nel tempo. Che sciocca sentimentale e materialista.
    Ha riconosciuto volti ma ha fatto finta di nulla, preferendo proseguire la sua serata come se un fervore tutt'altro che casuale non avesse iniziato a scorrere nello staff del Casinò.

    Da quando si è fermata su quelle scale, però, sembra aver deciso che la sua giostra dovesse smettere di dondolare. Era ora di fermarsi e posizionarsi in quel punto visibile a sufficienza da mandare un chiaro messaggio, a chi ha avuto l'accortezza di non disturbarla sino a quel momento. Un messaggio arrivato direttamente al destinatario senza che la Fata ne possa essere sicura.
    Da quando Etienne si è dileguato al piano superiore, lei non ha mosso un dito. Parecchia gente l'è passata accanto ed il suo accompagnatore le ha portato un bicchiere di vino che lei ha rifiutato, sfiorando la sua mano con una sola indicazione: < Stammi lontano > condita con miele sufficiente a camuffare un ordine. Uno magico.
    Da quel momento non ha più azzardato ad avvicinarla.
    Poi finalmente non deve pentirsi di aver tenuto alta la concentrazione e scorge Etienne sulla scalinata gemella alla propria, affiancato da due uomini che non si sforza di riconoscere. Non sono lui e tanto le basta. Al cenno del capo del claudicante Capo della sicurezza, lei solleva la mano dalla ringhiera per accompagnarla al gesto di raggiungere l'ascensore. Come se le servisse muoversi davvero a quel modo, per camminare, e non fosse soltanto un modo di imporsi visivamente tanto quanto emotivamente a chi le passa di fianco.
    Solleva persino le dita a salutare Etienne, se quello azzarderà un'ultima occhiata nella sua direzione, e la punta delle falangi si sporca di rossetto quando sfiorano le labbra chiuse in un bacio. Lo stesso che finge di soffiare verso di lui mentre la Fata volta le spalle all'ascensore. La chioma striata di blu ricade sulla schiena, celando il taglio nelle stoffe che le permetterebbe di uscire le ali tranciando solo l'epidermide. Ci impiega un attimo, un frangente quasi impercettibile durante il quale lo sguardo si sposta sulla sala per un'ultima volta. Sarebbe stata quella l'ultima immagine che avrebbe visto, l'ultima durante la quale ancora l'incognita poteva suggerire un risvolto qualunque per quella serata. Quando ancora era possibile che il tempo non fosse mai trascorso, tra loro, come invece ha fatto.
    Nella mano ha qualcosa che fino a quel momento è stato camuffato in una spilla e che ora stringe nel palmo, dopo aver osservato la sua reale forma di un anello di rubini e zaffiri.
    Poi la punta di una scarpa dorata l'anticipa nel movimento leggero con cui si volta, ed entra in ascensore, aspettando che si richiuda alle proprie spalle e tagli fuori il mondo.


    La piccola punta del naso è quella che sbuca nella penombra della sua testa china. La mano della fata è ancora stretta in un pugno ma pian piano distoglie lo sguardo dal pavimento e solleva il mento, inquadrando il Demone che occupa una parte del lussuoso ascensore.
    Ricorda perfettamente la prima volta che ha posato gli occhi su di lui e come abbia deciso che lui, quello che avrebbe dovuto rimetterla al guinzaglio, avrebbe sperimentato in prima persona il piacere di una corsa sfrenata. Una corsa che li ha portati rapidamente sul fondo di un baratro ma che ha cambiato molte, troppe cose, incluso il modo con cui avesse iniziato la Fata ad aver bisogno di Javor. In un modo pericolosamente banale. Ricorda anche l'ultima volta che lo ha visto, senza che il serbo sapesse che quella era l'unica conversazione che avrebbero avuto per cinque lunghi anni. Ha sentito la sua mancanza prima ancora di essergli lontana ed era tutto quello che le serviva per correre via. Ed in tutto quel tempo non è riuscita a dimenticare un singolo tratto dei suoi lineamenti, al punto che nota la differenza ancora prima che realizzi che quel calore non sia un malfunzionamento del riscaldamento.
    < ... > Molte cose sono cambiate e gli indizi sono ovunque. Il più grande di essi è celato nel suo spirito e nemmeno Chirikli sembra sapere esattamente come reagire, limitandosi a ritrovare un volto che l'è sempre piaciuto rimirare, anche nelle sue espressioni più truci. Anche quando erano rivolte a lei.
    Un volto dallo sguardo cieco per metà.
    < U grudima ti odzvanjaju Cigani? > Sorride, Chirikli, perché non è cambiata poi molto. Etienne non sa quanto ha ragione, nel supporre che quella donna sia rimasta lo stesso prepotente usignolo che vuol a tutti i costi imporsi anche al più tetro degli scenari.
    Ha imparato qualcosa della sua lingua parecchi anni prima, quando ha chiesto a Javor di insegnargliela, e quello era il modo con cui era solito annunciare il suo arrivo ed infestarlo con la sua presenza.
    Gli zingari, si sa, nascono nel fango e tra i tamburi di una musica senza radici. Ce l'hanno nel sangue assieme al suolo battuto e le sciocche superstizioni.
    "Gli zingari ti echeggiano nel petto?"
    Nel suo sì, battono ad un ritmo forsennato e cinetico. Lo faranno finché non avrà chiara la sua espressione, la sua identità, il suo desiderio. E lo faranno anche oltre.
     
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    < parlato Javor >
    < pensato Javor >
    < Gomory >
    < parlato Gomory >


    Etienne conosce abbastanza bene il serbo da tenere per se qualsiasi altro commento. E' saggio a non fargli notare il modo in cui sta stringendo il corrimano interno dell'ascensore, con una tale forza da farsi sbiancare le nocche. Come se volesse piegare le eleganti sbarre in acciaio, o fonderle sotto una stretta che è in grado di richiamare le fiamme direttamente dall'inferno. Non si lascia ingannare dal modo in cui se ne sta appoggiato con la schiena, a braccia larghe, in una postura che sottolinea un'arrogante agio. Ma c'è tensione nelle sue spalle, nelle sue braccia. In quelle dita che non ne vogliono sapere di allentare la loro morsa. Lo sguardo invece è puntato in avanti, indecifrabile. Ma la mascella contratta è un altro dettaglio che lui non ha intenzione di sottovalutare. L'ha visto in ogni sfumatura peggiore e migliore; l'ha visto infuriato e l'ha visto persino ridere di cuore. Ma in quel momento non sa quali emozioni si stavano levando dentro di lui, come fili di fumo rovente, dai resti carbonizzati di qualsiasi cosa gli avesse lasciato quella fatata. Cinque anni non bastano a dimenticarla davvero. Forse non basterebbe nemmeno una vita intera. E lo sanno entrambi, non c'è bisogno di dirselo. Per quello si lascia alle spalle l'altro senza una parola. E fuori, quando con un gesto eloquente invita Madame Chirì a raggiungere l'ascensore, ha solo per un istante un attimo di incertezza. Non sa chi dei due sta condannando. Eppure gli si allarga il sorriso mentre cattura il bacio rubato che lei gli soffia, con cinque dita: andrà come deve andare.

    Non è una casualità se il proprietario dell'Harrah abbia scelto l'ascensore in tutto il Casinò. E' dove il serbo ha ceduto a più di una tentazione, con lei. In quegli spazi ristretti, dove non poteva fuggire da nessun'altra parte, è rimasto intrappolato dalle promesse del suo sguardo ammaliante. Dai bisbigli che gli hanno asservito il cuore. Quel dannato ascensore è una trappola e potrebbe diventare la tomba di entrambi.
    < Lasciaci il controllo, Javor. Ci pensiamo noi. Sei troppo instabile > Chiede il permesso Gomory, con l'ingannevole tono cortese con cui illude il proprio burattino di avere anche solo una possibilità di resistergli. Con le lusinghe ha sempre ottenuto di più che con la forza e la coercizione, evitandosi sfiancanti guerre e rappresaglie contro i caratteri più ostinati. E il serbo in quel momento è come una lama appena affilata, pronta a ferire anche la mano di chi la regge; è come una dinamite a cui hanno appena acceso la miccia. Che cede con scontento ma anche con consapevolezza il comando al demone, perchè ha ragione: in quel momento il suo autocontrollo è appeso a un filo. Non appena Gomory passa al comando, la schiena si rilassa, la stretta delle dita sul corrimano si allenta diventando una presa più morbida. Piega la testa prima a destra poi a sinistra facendo gemere un paio di ossa, mentre i suoi lineamenti si arricciano in una strana smorfia grottesca che si consuma in pochi istanti. Saggia qualche movimento, neanche fosse arrugginito, come qualcuno che si sta abituando a un vestito nuovo, stretto. E deve essere proprio così, non è abituato ad agire in prima persona, preferendo da sempre godersela da dietro le quinte. Ci sono le eccezioni, e quello deve essere uno di quei momenti in cui è costretto ad adeguarsi alle circostanze.

    Gomory accoglie Chirikli rilassato, del tutto a proprio agio. Con una postura che non ha niente a che fare con quella rigida, quasi marziale di Javor. Ed è una prima differenza di atteggiamento che già delimita un confine preciso. Come un leggero sorriso che gli aleggia sulle labbra, che non ha assolutamente nulla di sbagliato o inquietante. Ma non è quello del serbo, che non è solito sorridere così facilmente, o che lo fa quando deve sottintendere qualche minaccia. E c'è quell'unico occhio sano che la sta guardando con un calore bruciante, mentre l'altro, vitreo e cieco, sarà una novità per la fatata. Come quel paio di cicatrici che lo frastragliano, lasciate da una lama, che hanno rischiato di portarglielo del tutto via. Ha qualche ruga d'espressione in più, i capelli più corti e ordinati, ma il volto è sempre quello, dai lineamenti aspri e senza nessuna reale manifestazione della corruzione demoniaca che gli ha infettato l'animo. A Javor basta guardare il suo sorriso scarlatto, quel sorriso, per agitarsi sotto la morsa dell'autocontrollo del demone, che viene attraversato da un brivido violento, involontario. E' quell'unica domanda a provocarglielo.

    < Lui cosa ti avrebbe risposto? > Le chiede, come se non ci fosse più alcuna coscienza umana ad albergare con lui, dentro quel fantoccio di carne e sangue. Capita anche sin troppo spesso che un Demone divori un'anima, annientandola del tutto. E con quell'unica domanda è quello che vuole farle esattamente credere: che Javor ha smesso di esistere. < Ma vieni avanti. Vogliamo vedere meglio la donna che è riuscito a portarlo del tutto alla rovina > La invita, tendendo la mano destra verso di lei. Il suo tono non è neanche lontanamente beffardo. Si potrebbe dire persino ammirato. Perchè la fatata è costata a Javor il cuore, l'anima. E un occhio. < Come Circe del mito greco, come Eva con il peccato originale, non sei forse tu una di quelle donne che attirano gli uomini verso il loro tragico destino? > E non suona neanche come un'accusa, o una colpa da rinfacciarle. O da vendicare. Riesce invece a distendere il suo sorriso sottile. Chirikli non ha fatto altro che spianargli la strada. La coscienza del serbo invece si è ammutolita. Da qualche parte, dietro lo sguardo di Gomory, sta trattenendo il respiro e non solo per tutte le implicazioni pericolose di quel paio di affermazioni. I suoi pensieri si sono ridotti a un groviglio di sensazioni tumultuose che non possono ancora trovare voce, e sfogo. Il demone lo obbliga alla pazienza mentre resta con la mano tesa verso di lei. Sino a quando non verrà avanti la fatata le porte dell'ascensore resteranno aperte, offrendole la possibilità di voltarsi e andarsene. Una via di fuga. Che potrebbe non esserci dopo, quando quelle si chiuderanno dietro di lei nel caso dovesse invece decidere diversamente.




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    Edited by MaiUnaGìoia - 26/5/2021, 02:40
     
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    Le dita della mano libera stanno sfiorando le porte dell'ascensore, quando Gomory allunga il palmo in un invito che segna l'ultima possibilità di fare un passo indietro.
    Lo ha già fatto una volta, fuggire, e non ha compiuto tutta quella strada per farlo di nuovo: distende il braccio libero ed afferra la sua mano, lasciandosi alle spalle la sala ed ogni opportunità di ritirata.

    Il rumore delle porte che si chiudono alle sue spalle tagliano via anche la possibilità di rimandare le supposizioni ad un secondo momento. Chirikli ha troppe domande a cui dare risposta e la prima a cui sceglie di dare voce è anche l'unica che non è stata posta dalla propria coscienza. < Se non lo sai, allora credo che non siano affatto affari tuoi > E potrebbe anche sembrare scortese se ci si limitasse ad ascoltare le parole, ma quel sorriso sanguinoso sta suggerendo che altro non sia che un modo di solleticarne le reazioni. Giocare con la sua pazienza, come ha sempre fatto con chiunque.
    Oppure un modo per perdere tempo.
    Gli si è fatta più vicino e la mano che non stringe la sua, quella di Javor, è chiusa a pugno e cerca appoggio contro il suo petto. Basta quel semplice contatto per farle chiedere se voglia davvero credere alle proprie paure o piuttosto chiudere gli occhi e fare finta di niente, perché contro quel cuore pulsante potrebbe anche dimenticare tutti i motivi che l'hanno tenuta lontana. Ed è proprio per questo che vi si tiene alla larga, per ora, standosene ad una miserevole distanza di sicurezza. < Povera Eva. Credere che sia da biasimare solo perché Adamo ha scelto volontariamente di darle credito è un pensiero un po' antiquato. Ma forse è quello che più ti si addice, dopotutto. > Assottiglia lo sguardo, così blu dà non essere affatto umano, e lo guarda dal basso con tutta l'intenzione di fargli capire che ha intuito esattamente di parlare con il Demone. E non con l'umano.
    Qualcun altro si sarebbe potuto convincere che in cinque anni le persone cambiano parecchio ed in effetti, col suo vestito ed un occhio in meno, persino la Fatata ha intuito che molte cose lo siano per davvero. Ma non cambia lo spirito, quello è destinato a rimanere immutato nello spazio, nel tempo e persino nella morte. È questa convinzione ad averla spinta a credere che tutti dovrebbero spingersi fino a dove ne hanno voglia, senza sottostare a regole di un piano terreno prettamente illusorio. Ed ora sta stringendo la mano ad una creatura che ha sovvertito le regole dell'inferno per lo stesso principio e non può che sospirargli contro con ammirazione, nonostante le dita della mano che poggiano sul suo petto si siano aperte sul manico di un pugnale fatto di pura elettricità. È con quel potere che ha finito per dimenticare che nel pugno stringeva un anello, uno illuminato da un bagliore rosso ed uno blu. Uno che Javor conosce molto bene e che rotola sul pavimento dell'ascensore, mentre lei spinge la lama verso l'alto a tracciare un taglio netto nell'abito del serbo sino a sfiorargli il mento con la punta fredda di un'arma che nessun altro può impugnare se non lei. < Più ti guardo e più mi sembra che tutto sommato io abbia fatto un bel lavoro >.
    Chissà, senza lei non ci sarebbe stato Gomory. E senza Gomory lui sarebbe ancora lì dove lo ha trovato, cinque anni prima. < E ciò nonostante non era affatto quello che desideravo. Non solo gli uomini, anche i Demoni si divertono a guidarci come burattini > Già, quella convivenza altro non è che una delle imposizioni a cui lei cerca di sfuggire da una vita.
    Sta solo cercando di convincersi che lui sia ancora lì dentro, non perché ne abbia il sentore ma perché la soluzione opposta non le piacerebbe affatto. Ed intanto, se sarà riuscita a puntargli contro quella piccola arma e comunque le cose stiano andando in questo momento, ha ancora una cosa da dirgli e lo farà intrecciando la dita alle sue, se ancora le sta stringendo. < Lascia che mi risponda lui stesso. Non ci sarà occasione migliore di vederlo cedere al peccato, nel bene o nel male...> Oh, anche a lei piace che siano le parole la prima arma a spianare la strada. Ma sembra che quella novità abbia minato persino i nervi di una creatura tutt'altro che fragile come lei, e il pugnale che stringe nel palmo è solo la prova che più di una persona in quel luogo stia soffocando le proprie emozioni.

     
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    demone


    < parlato Javor >
    < pensato Javor >
    < Gomory >
    < parlato Gomory >


    Quando le loro dita s'intrecciano, la coscienza umana di Javor sibila un sospiro direttamente dagli abissi in cui è stata relegata in quel momento. A fare da spettatore allo show imbastito dal Demone a cui ha ceduto il controllo. E qualcosa gli suggerisce che si pentirà presto di averlo fatto, mentre si agita, irrequieto, ai confini della gabbia del suo stesso corpo. E nonostante tutto, sente ancora prepotente l'influenza di quello sguardo blu elettrico, che la prima volta ha avuto lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. O di come quel sorriso rosso sangue è stato sempre in grado di mandargli in cortocircuito i pensieri, lui che si è sempre vantato di avere un micidiale autocontrollo. Rivederla gli riporta a galla tutto quello che si era costretto a seppellire di lei, per la propria pace mentale. Ricordi, sensazioni. Che inevitabilmente travolgono lo stesso Demone, in una condivisione totale e completa. E dannazione, quello può cogliere persino la sua gelosia, perchè avrebbe voluto essere lui quello a toccarla, a sentirla finalmente dopo cinque lunghi stramaledetti anni di astinenza dal rosso dei suoi capelli. Dalla sua voce.

    < Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio, che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto, luce, profumo, musica, unico bene mio, rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto? > L'Inno alla Bellezza di Baudelaire sembra essere stato scritto appositamente per lei, perchè non c'è musa migliore per incarnare quella poesia. < Dacci un taglio, cazzo > E il serbo malsopporta quelle moine, lui che non ha neanche un briciolo di vena poetica nell'animo. Sarà per quello che in un certo senso entrambi si completano: lui più grezzo, diretto, violento, mentre il demone è più seducente, persuasivo e lusinghiero. E quanto si compiace Gomory di sentirlo così impaziente, così scalpitante. Così incazzato.
    < Dovresti ringraziarmi. Ancora non sai se vuoi strapparle il cuore dal petto e divorartelo o scopartela a sangue > Rinfaccia al suo burattino i suoi stessi pensieri e desideri, di un'intensità più folgorante e volgare. E più il serbo brucia di desiderio e passione, di rabbia e vendetta, più Gomory si rafforza e si fa potente, trattenendolo facilmente tra le spire della propria volontà.

    Esternamente invece il demone sospira, come se fosse dispiaciuto dalla risposta della fatata, che lo sta blandendo pure con uno di quei suoi sorrisi fatali. La stretta contro le sue dita è morbida, ma non debole, e con uno strattone semplicemente vuole tirarsela più vicino. Abbastanza da permetterle di appoggiare il pugno chiuso contro il suo petto mentre la sua mano mancina invece resta ancora inerme, nella tasca dei pantaloni. < Eva è la nostra preferita > Le confessa, fissandola con l'unico occhio buono che si ritrova. Con uno sguardo carezzevole che le scivola sul bel viso, e oltre, indugiando con apprezzamento lungo tutto il suo corpo. < Del resto, siamo nati dai gemiti di Lilith. E primi del suo esercito > Che basterebbe a farle intuire quale demone abbia davanti. Uno dell'acqua, che incarna la tentazione e la Lussuria. Ignora quanto Chirì conosca dei demoni, ed è anche vero che loro mentono e ingannano con la stessa facilità con cui gli altri respirano. Ma li sottovalutano sempre i demoni della Lussuria. Nell'immaginario, li credono solo interessati a soddisfare piaceri carnali e a indurre in tentazione chiunque: quanto si sbagliano.

    Lo sguardo cattura il bagliore scarlatto e cobalto del gioiello che finisce tra i loro piedi. E lo distrae abbastanza da non notare immediatamente il pugnale sovrannaturale, vibrante di elettricità, che lacera con facilità la stoffa della sua bella camicia che si apre su un petto frastagliato da qualche cicatrice. Un pugnale che sfrigola pericolosamente di pura elettricità quando s'incontra con un anello fatto dello stesso elemento, trattenuto dal laccio in cuoio che porta al collo. Lei non è l'unica ad aver conservato un pegno, un legame. Un ricordo di loro. E' un indizio importante, perchè può solo significare che la speranza della fatata non è vana: il serbo è ancora lì, sopravvive tra le grinfie di Gomory. Quando il pugnale si assesta sotto il suo mento, il suo sorriso svilisce. E sembra improvvisamente così pensieroso mentre finalmente decide che non gli basta più toccarla solo con cinque dita. Lentamente la mano mancina cerca il suo viso, priva di qualsiasi arma. Con tutta l'intenzione di scivolare prima tra i suoi capelli, per denudarle il bel collo, e risalire piano a tracciare il suo mento con il pollice. Che è ruvido e calloso, contro la sua pelle di velluto. < Non lo nego > Che lei abbia fatto un buon lavoro. < Non siamo forse tutti schiavi di qualcosa, o di qualcuno? E tu credi di essere davvero libera da qualsiasi catena? > Il pugnale, che potrebbe facilmente farsi largo nella sua gola, non lo preoccupa. Al massimo sarebbe costretto a sloggiare dal corpo morente del serbo, per cercare qualche altro involucro da prendere in affitto. < C'è a chi piace sottomettersi > A un piacere, a un desiderio, a un' emozione. < Siamo tutti burattini... > Lui lo è dell'inferno. E del proprio istinto. E non è forse costretto a una convivenza per poter camminare tra i mortali? A nascondere il proprio vero volto. Ma se le sue dita non avessero trovato alcun rifiuto, andrebbe ad abbracciarle morbidamente il profilo, con una delicatezza insospettata. E quando il diavolo ti accarezza...

    < Dimmi Chirikli Veres... > Il serbo non ha mai usato nessun diminutivo. Gli è sempre piaciuto scandire il suo nome, nei momenti migliori e pure in quelli peggiori. E il demone fa lo stesso mentre con il pollice si spinge sino alle sue labbra, e le dita si serrano con un filo di violenza contro la sua carne. < ... Sei in grado di supplicare? > E poi il polpastrello cerca di sbavarle tutto il rossetto, di sporcare di scarlatto la sua invitante bocca. Con lo stesso risultato che otterebbe baciandola. < Implorami. Magari sarebbe più convincente se ti inginocchiassi > La cortesia gli piace. Meno invece, quando lo minacciano. E allora deve subito chiarire com'è che funzionano le cose con lui, chi è che ama tenere il coltello dalla parte del manico.
    < Cosa credi di fare? Non così, cazzo. Non... > E già qualcuno si ribella: al serbo non piace la piega che sta prendendo quella faccenda. Lui, non ha mai voluto umiliare la fatata. E ora le loro volontà si scontrano in un'accesa battaglia intestina.
    < Non ti sei forse inginocchiato per chiedere la sua mano? O forse, conoscendoti, le avrei infilato direttamente l'anello al dito. Nessuna richiesta, solo un comando > E Gomory indovina, ridendo di lui, annegando nei suoi ricordi quando Javor rievoca esattamente quel momento, nitido e chiaro come se non fossero passati cinque anni.
    < Basta così. Lasciami libero, ora. >
    Ma il demone non ha ancora finito. Chirì lo sentirà tremare, mentre una smorfia grottesca gli fa contrarre i lineamenti. E' sfiancante dover tenere a bada il serbo che sta cercando di riprendere le redini del controllo. Ma Gomory è più forte di quanto gli abbia sempre voluto far credere e decide di metterlo in chiaro una volta per tutte.
    < Supplicami, fatata > Lo ripete, di nuovo. E questa volta la sua voce è diversa, ha un duplice timbro che non è maschile e neanche femminile, e un eco che è un puro richiamo alla dannazione. < Altrimenti lo annienterò sotto i tuoi occhi. E mi basterà trovare una crepa, solo una crepa, per farti mia > La sclera dei suoi occhi si è tinta d'inchiostro, che ora non sono nient'altro che due baratri profondi come l'abisso stesso. Sono gli occhi del demone, uno squarcio del suo vero volto che solo Javor ha visto. Lei, non si è ancora guadagnata questo diritto. E la sua pelle sembra arroventarsi, qualche strascico di quel viso si annerisce come se stesse per carbonizzarsi e consumarsi [ Maschera di Carne - Scenico ]Una promessa di quello che spetterebbe a Javor, un solo biglietto di andata per l'inferno a cui ha già assicurato l'anima. < Supplicami! > La voce - le voci - sono un boato che annichiliscono persino la voce del serbo nella sua testa. Ma sarebbe banale credere che il vero scopo sia davvero quello di umiliarla. Sarebbe davvero troppo semplice, scontato. Chirikli non è la sola a cui piace provocare qualcuno, testare i loro limiti. Lui vuole metterli a nudo, entrambi. Tenerli sotto pressione. E bearsi delle loro emozioni. Delle loro debolezze.


    - Pistola Semiautomatica [ Sofisticazione + Silenziatore ]: 20 colpi


    Edited by MaiUnaGìoia - 21/10/2021, 17:14
     
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    Chirikli Veres

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    fatato

    Si chiede quali siano quelle sensazioni che riaffiorano al minimo contatto con Javor. Quando la mano trova la sua, la donna sprofonda in una breve ricerca, breve e distratta, con cui riconosce il piacere ed il sollievo. Riesce persino a trovarvi dell'autocompiacimento, forse per essere esattamente lì dove aveva programmato di finire dall'inizio di quella serata. Non ha mai dubitato che prima che il sole fosse sorto di nuovo, lei avrebbe sentito il suo profumo e ricordato il calore della sua pelle. Di certo non se l'aspettava bruciante come adesso, influenzata da un'aura che si scontra in modo quasi complementare con la propria. Lì, nel cubicolo di quell'ascensore, si preannuncia una tempesta della stessa temperatura dell'inferno e lei non ha mai avuto paura di camminare scalza sui carboni ardenti. E' una circense, una donna di spettacolo, una zingara che asseconda il pericolo con uno sguardo di puro compiacimento sui tratti sottili della sua genetica europea.
    Eppure c'è qualcosa che manca e Chirikli non è in grado di capirlo: nella moltitudine di sensazioni che alimentano il sottile formicolio della Fatata dell'elettricità, manca il senso di colpa.
    Può forse stupirsi, Javor, che quella donna non mostri la minima remore nel presentarsi davanti a lui dopo cinque anni? Se lo facesse, forse non la conosceva per davvero come credeva di fare.

    I tacchi segnano un passo tra di loro, imponendo una distanza che ancora non è pronta ad annullare del tutto. Questo perché il Demone è lì, a farle presente che il suo uomo non abbia alcuna voce in capitolo su quanto stia succedendo. Riesce ad immaginarlo senza troppi problemi, l'umano, nauseato da una pantomima a cui non l'avrebbe mai sottoposta prima di allora. E se Javor non può esprimersi a voce, dando adito ad una lusinghiera quanto prolissa recita che sfrutta una tonalità a lei sconosciuta, sarà lei stessa a fare da eco - involontario - ai suoi desideri. Come ha sempre fatto. < Sai...lui conosceva metodi decisamente più piacevoli per usare quella lingua. > Sporca, disinibita, un contrasto che ha indossato per tutta la vita con la stessa scioltezza che riserverebbe ad un meraviglioso abito macchiato di sangue: non si è mai nascosta dietro una maschera di innocenza e non le sembra il caso di farlo al cospetto di un Demone. Un portatore di eccessi di cui lei ha sempre fatto un dogma.
    Una forma di inaspettato rispetto, a ben vederla.

    Poi la forza di un solo strattone riesce ad unirli, portando il pugno chiuso a trovare appoggio sulla camicia ancora intatta. Una camicia che non può nulla per nasconderle il battito del suo cuore. Vivo ma quieto, disumano, ennesimo fuorviante indizio di come l'essenza che abita quel corpo ne abbia fatto la sua sola dimora. Quello, o al serbo non importa affatto di vederla.
    Per la Domatrice la storia è un po' diversa, perchè fa in modo di aderire alla sua figura quasi completamente, infischiandosene se anche lo scarto degli inferi senta quella vicinanza. Tutto ciò che le interessa ricavare da quel piccolo incidente è il ricordo di sensazioni, attese e desideri già provati. Ce li ha tutti nello sguardo, sovraffolato di emozioni inespresse e poco romantiche. Perlomeno non in senso convenzionale, come non lo sono mai stati. < Mhmh... > Un solo occhio e innumerevoli sconfitte, ma anche vittorie: ecco cosa vede su quel volto. Dimenticandosi persino di ascoltare una voce che si sforza di rinnegare, familiare e sconosciuta al tempo stesso. Lei sta per impugnare un'arma che per ora è soltanto il seme di un'idea ed intanto, finchè le va, si crogiola contro il suo petto con l'aria di chi sta valutando quale tra le tante memorie le va di ripescare, magari rispolverare persino.
    No, Madame Chirì non deve affatto lottare con i dubbi che affliggono l'altro, e di cuori ne ha mangiati a sufficienza in modi meno letterali e più soddisfacenti di quello. Quanto all'altra opzione esposta da Gomory, beh, non si sarebbe certo detta contraria.
    < Perciò era un complimento. > ribatte, lasciando finalmente la presa sull'anello ed impugnando un pugnale che presto aprirà un lungo solco nella stoffa. < Parecchi del mio esercito sono nati tra i miei gemiti, Demone, ma dovrò lavorarci ancora parecchio affinchè diventi un regno. Immagino di doverti ringraziare per la fiducia. > Nessuna ironia: che Gomory possa ritenerla o meno degna di quel riferimento, ciò che conta è che ne sia certa la stessa Chirikli. In un modo assoluto e dissoluto, come l'intera esistenza che ha sempre condotto e che ha rischiato di portarla lontano da lì, prima che capisse qualunque cosa l'abbia attirata indietro.

    Le piace il rischio che la punta della lama possa lacerare anche la pelle, se solo il polso le tremi al momento sbagliato. La vita di Javor tra le sue mani è una delle prime cose che l'hanno attirata accanto al serbo, un burattino perfetto ed un burattinaio altrettanto abile. Gomory sta pronunciando l'ennesima verità, in quel modo affettato che non si guadagna minimamente l'attenzione della donna: si, nei momenti giusti ha conosciuto il piacere della sottomissione tanto quanto quello della dominazione.
    Gli occhi elettrici sono fissi sull'anello che rischia di tirare via dal suo collo e che raggelano il movimento nel momento stesso in cui lo riconosce. E' forse quel dettaglio a spingerla a quella minaccia, che magari - in assenza del monile - si sarebbe tradotta in un nulla di fatto. Non ha avuto davvero voglia di tagliargliela via, quella lingua, finchè non si è resa conto che potrebbe davvero esserci qualcun altro in grado di usarla. Qualcuno che fino a quel momento non sapeva di aver dato inconsciamente per spacciato nel momento stesso in cui ha messo piede nell'ascensore e si è scontrata con quell'aura.
    Eppure è una consapevolezza che frena la sua mano tanto quanto rischia di spingerla più a fondo, in una netta indecisione di desiderio e fastidio per l'uno e per l'altro, demone e uomo. Le falangi ruvide e maschili che corrono a sfiorarle il volto non trovano resistenza ma la ammutoliscono per un attimo, un lungo attimo. Le labbra rimangono serrate ma il respiro si intreccia in un nodo, quando sembra interromperlo a metà per colpa di un fremito. Ora è il suo turno di rammaricarsi che quel gesto non sia suo, lasciandola a chiedersi se da lì dentro possa sentire. Se davvero c'è, lì dentro, e non stia solo perdendo tempo in sciocche illusioni.
    La mano che le circonda il profilo sarà pervasa costantemente dal formicolio elettrico che invade qualunque cosa la tocchi, entrando in contatto con il suo spirito.
    < Balle > la collanina ricade sul petto esposto ed il coltello frena la sua corsa appena sotto il mento maschile. < Sono libera da ogni catena sino a che la prossima non tornerà a legarmi i polsi. Ed allora lotterò per liberarmene, sempre che non sia una di quelle che di tanto in tanto mi piace indossare. > La punta della lingua scivola a sottolineare il significato neanche troppo implicito di quella frase, lucidando il rossetto lungo tutto il labbro superiore. < E la sottomissione è solo una farsa, se ti piace il genere. Non ho mai sentito nessuno contento della schiavitù vera e propria. La perversione...non è una gabbia: è soltanto un gioco a porte chiuse. >
    Il serbo non ha mai usato nessun diminutivo ma è proprio quello che rende il suo intero nome una bestemmia, tra le labbra estranee del Demone. Fatica a deglutire una risposta immediata, una che gli riserverà al momento giusto, anche perchè ha la bocca serrata da una pressione più forte delle precedenti. Una che guasta il trucco vermiglio e le scompiglia il sorriso, quello che si allarga tra i movimenti del polpastrello sulla pelle.
    Eccolo, il primo dell'esercito di Lilith. Qualunque cosa volesse dire.
    Eccolo, che rapisce tutto il suo campo visivo con una smorfia ed un tremore che la rendono cieca. Mentre Gomory combatte Javor, lei si arrende alla manifestazione demoniaca alla quale non volta lo sguardo, non nega attenzione. Il pugnale rimane lì dov'è, esattamente come l'altro non sembra voler cedere di un passo in quel macabro ballo d'intenti. C'è il buio e due occhi neri. Il buio ed un volto corroso dalle fiamme. Il buio, il buio, ed una voce che rimbomba per tutto l'abitacolo ed anche oltre. Assieme alla richiesta tonante di Gomory, le labbra disordinate della Fatata si aprono in un sorriso folle. Una risata, che viene ovattata quasi completamente dal rumore di cavi elettrici che vanno in cortocircuito e frenano la corsa dell'ascensore con un forte strattone. L'è bastato sfilarsi una scarpa per sfiorare il pavimento e bloccare l'elettricità che alimenta il traino di quella macchina, senza spegnere le luci che pure tremolano per un battito di ciglia.
    Il rumore inizierà a scemare presto ma Chirikli sta ancora ridendo, con il volto infernale del serbo riflesso negli occhi lucidi. Ha lasciato la presa sul pugnale e anche quello è finito tra i loro piedi.
    < ...oh...migliaia di anni...migliaia di corpi... > quelli vissuti dal Demone, posseduti da Gomory, come ogni altro della sua specie. Chirikli cerca l'appiglio delle sue spalle perchè a dispetto di quel folle sorriso, la sua carne sta tremando: non è mai stata così vicina ad una sconfitta come in quel momento. Eppure non riesce a distogliere lo sguardo da un volto martoriato, nero, quasi irriconoscibile. < ...migliaia di nomi... > il petto si solleva in un singulto. < Ed ancora...sei costretto a questo, per vedere una donna inginocchiarsi? > ... < Javor non ha mai dovuto chiedere ed anche a lui piaceva vedermi in ginocchio > Inspira ma a nulla serve per riprendere pieno controllo del suo corpo, così alla fine - salvo impedimenti - finirà per scivolare davvero al suolo. Una resa più fisica che spirituale, con cui può finalmente tenere bassa la testa e privarsi di quella vista. I palmi si aprono su una porzione di pavimento, uno dei due finisce vicino all'anello di Javor, ed i capelli ricadono in una morbida cascata che lascia libera la sua schiena curva. < Vuoi scoparmi, demone? > domanda a bruciapelo, senza mai alzare la testa. < Perchè è l'unica crepa in cui potresti intrufolarti. Non puoi avermi, non lo sai? Non sono umana. > E quando solleva il volto non lascia spazio a dubbi: il suo elemento sembra pulsare di vita propria attraverso venature che infestano tutta la pelle visibile del suo corpo. < Perciò annientalo, se preferisci, ma solo mettendo piede qui...ti avrò portato via soldi, potere ed un comodo vestito. Una vittoria niente male...e poi, potrò sempre andare a cercarlo all'inferno. >
    Forse una bugiarda, o la più bella figlia di puttana mai esistita, ma comunque andranno le cose...da lì ne usciranno in tre o non ne uscirà nessuno.
     
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    demone


    < parlato Javor >
    < pensato Javor >
    < Gomory >
    < parlato Gomory >


    Era così raro che Gomory prendesse in mano le redini del controllo che, quando capitava, appariva meno disinvolto di quanto ci si potrebbe immaginare. Chiuso in quel vestito troppo stretto, lui che ama dirigere gli spettacoli dietro le quinte, fatica a controllare come più desidera ogni singolo movimento. Per quello il suo sorriso a tratti sembra distorto e ha qualche contrazione muscolare sbagliata. E' solo con il trascorrere dei minuti che acquisisce sicurezza e sfrontatezza, e a dispetto di quello che ci si potrebbe aspettare da un demone come lui, della lussuria, non è solito concedersi così facilmente piaceri carnali. Come se il suo tocco fosse un lusso destinato a pochi, un privilegio raro a cui possono aspirare quelli che sanno distinguersi realmente dalla massa. Perchè come dice Chirì, lui esiste da migliaia di anni, ha addentato un'infinità di anime e incontrato così tanti volti che a un certo punto il carosello di passioni, lascivia e depravazioni si ripetono con ciclica noia. Lui cerca la sfida, la seduzione delle menti, l'allettante reazione dei propri burattini e il peso delle emozioni che sente attraverso di loro. Scoprire sino a che punto si possono intrecciare i loro grovigli emotivi e quanta tensione fisica, quanto desiderio possa sopportare un corpo prima di cedere e rompersi ai suoi giochi. E che piacere nel raccogliere i loro cocci, rimodellarli, guidarli verso un'altra disfatta. O verso l'apice. Ecco perchè gli è bastato un solo sguardo alla fatata per capire che forse non si annoierà così presto. Mentre il serbo si agita sotto la sua stessa pelle, si contorce: non l'aveva mai sentito così vivo. Così ribelle e fuori dagli schemi. Interessante.

    < Che sfacciata la bella e impertinente Madame Chirì. Sicuramente dalla lingua altrettanto abile e pronta > Si, deve essere un complimento anche quello, e un'insinuazione altrettanto piccante. E quanto è compiaciuto il serbo, che almeno per i primi istanti se la gode. < Perchè ora che abbiamo chiarito la questione non lasci parlare me? >Lui, che sa usare la lingua come piace più alla fatata. Ci prova il suo burattino a riprendere in mano la situazione, perchè sentirla così indirettamente, senza poter fare quello che davvero vuole non gli basta. Neanche quando il demone, tirandosela contro, non gli fa scoprire quanto gli era mancato sentirsela addosso. Quel formicolio vibrante che ha sempre accompagnato qualsiasi contatto tra loro e che rendeva ogni carezza più viva, più elettrizzante. L'anello che ha al collo gli ha sempre dato quella sensazione, seppur effimera, e in quei cinque anni non è mai riuscito a separarsene. Non l'ha mai tolto, neanche solo per un istante. Qualcuno ci è anche morto solo per aver avuto la curiosità di sfiorarlo. Anche a Gomory non sembra dispiacere come le aderisce contro, come sia intrigante quell'elettricità che lo pizzica, ed è inevitabile che si faccia teso, con un desiderio che si fa decisamente ingombrante sotto la cintola. Ma quello che più gli piace sono le emozioni che affollano lo sguardo della Domatrice. E come il suo pugnale sembra indeciso se affondare o meno nella sua gola. Non lo nega che abbia voluto farle un complimento, e chissà che paragonarla a Eva, a Lilith, non possa scatenare gelosie dai vertici infernali che gli costerebbero pure la testa. < Interessante. Deduco che vorrai allargare ulteriormente il tuo esercito... > Strano come quel riferimento gli abbia sfilato un altro sorriso. Uno strano sorriso, e insieme a quello un'occhiata calcolatrice che le scivola addosso, dalla testa ai piedi.

    < Gomory, di nuovo con questa fottuta storia? >
    < Sta zitto e piuttosto ascolta. Non deve esserle piaciuto il tuo anello. A lei non piacciono le catene, e quella lo era. Se proprio devi regalarle qualche gingillo, evita collarini e anelli. Così magari riesci a non farla fuggire > Che caos in quel povero cranio umano. Il dibattito è acceso mentre il demone si fa beffe delle sue scelte passate e tira fuori il suo profilo peggiore. Uno toccato dall'inferno, con il buio degli abissi negli occhi accompagnati dalla richiesta tonante di una sua resa. Neanche l'ascensore che trema violentemente e si arresta riesce a distogliere il suo sguardo dal suo sorriso rosso e folle. E la risata, quella gli entra nelle vene, gli riverbera profondamente dentro. Chissà se riesce a trapelare l'ammirazione tra quei scorci d'inferno.
    < Amo i suoi pericolosi trucchetti. Lo sai vero che potrebbe far precipitare l'ascensore? Non scherziamo. Lei potrebbe cavarsela, io no. E non mi hai sempre detto che devo aver cura dei miei vestiti così come tu hai cura del tuo? > E il serbo sa bene di cosa sia capace la Domatrice, di quanto potrebbe costare caro, soprattutto a lui, farla innervosire. Così come è vero che vederla inginocchiarsi spontaneamente lo mandava in visibilio. Ma era lei ad avere potere, anche se prostrata. Un potere che ha sempre esercitato in maniera divina. Eppure, prima che lei possa davvero toccare il pavimento con le ginocchia, il demone l'afferra per i fianchi tirandola su, decidendo che gli basta anche solo quella resa a metà. < Non essere così impaziente mia bella e infame musa > ... < Io avrei detto mia magnifica stronza > Perchè il serbo è ancora disturbato da quegli svenevoli nomignoli che Gomory si ostina a usare come un poeta maledetto d'altri tempi. E non sa se sia questo a innervosirlo di più o la possibilità che lui voglia effettivamente divertirsi con lei. < Tutto a tempo debito > Promette, come se ci fosse la concreta possibilità, in futuro, di farsi largo tra le sue cosce. Ma non deve essere oggi, perchè invece spinge il profilo annerito contro il suo, il fiato contro il suo orecchio, bollente quanto la sua aura. < Sei sicura che io non possa averti? Sei realmente certa che non posso privarti della tua natura? > Ingannatore, bugiardo e sobillatore. Che voglia o meno piantarle realmente il seme del dubbio non importa, c'è un'ultima cosa che vuole dirle, con le labbra a ridosso del suo orecchio. < Gioca bene le tue carte, e potresti avere un alleato per il tuo regno. Inganna l'ingannatore, seduci il seduttore, giochiamo. Fammi divertire bambina, e non deludermi > E poi finalmente cede le redini del controllo al vero padrone di quel corpo. Il cambiamento è netto e immediato, come la stretta contro di lei, da ferrea a brusca. Ed è con una certa rudezza, insieme a un sospiro, che la spinge contro la parete. Javor non ha mai trattato Chirì come se fosse fragile o delicata, non ha mai avuto timore di romperla. E' sempre stata più forte dell'acciaio contro cui la inchioda. Ma sembra indebolito mentre si china appena, solo per premere il viso contro il suo seno, neanche volesse sprofondare pelle nella pelle. La respira profondamente e magari vuole farsi davvero largo a morsi sino al suo cuore. < Gli zingari me lo squarciano il petto, Chirikli > Ecco come avrebbe voluto risponderle sin dall'inizio. Con la voce rauca, soffocata dalle sue curve più morbide e con entrambi i palmi che risalgono, sino a piantarsi ai lati del suo viso. Non c'è più traccia d'inferno e corruzione su di lui, anche se quella gli resta dentro. Dio, quanto gli era mancato questo, tutto questo. Lei, il suo profumo, la sua vicinanza elettrizzante. E farle sentire i denti contro la clavicola, mentre risale con il viso e con lo sguardo, sino a premere la fronte contro la sua. Quando la guarda negli occhi, si dimentica di quei cinque anni che li ha divisi. Di come lo rende debole e insieme forte. Non sorride, come sempre. E' teso, la Domatrice è sempre stata in grado di fargli tendere i nervi in più di un modo. < Quali affari ti portano qui? > Deve per forza trattarsi di affari, perchè è così che tutto ha avuto inizio con lei. Lei che gli ha fatto scoprire come gli affari sanno mescolarsi bene con il piacere. < E se proprio vuoi farmi finire all'inferno prima del previsto, allora voglio andarci con il tuo sapore sulle labbra > Perchè c'è ancora l'ascensore in sospeso. La sua vita appesa a un cavo elettrico. Ma non sarebbe male morire con l'impronta del suo rossetto addosso. O con le sue gambe attorno ai fianchi. La verità è che in un modo o nell'altro, lui è fottuto.




    - Pistola Semiautomatica [ Sofisticazione + Silenziatore ]: 20 colpi


    Edited by MaiUnaGìoia - 29/10/2021, 05:04
     
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    Chirikli ha la dominazione nel sangue, di questo erano certi anche i suoi genitori. Ha imparato il modo migliore per attirare un cavallo tra le sue briglie senza dover muovere quasi un muscolo, nè usare un frustino. Ci sono modi diversi che hanno sempre richiesto un rischio minimo, un impegno marginale ed un risultato ottimale. Questo non perché non le piaccia sporcarsi le mani ma perché ha sempre ritenuto che la guerra fosse per le pedine, da combattere, e per gli strateghi da intessere.
    Eppure sente il caos eviscerare ogni suo controllo quando se ne sta tra le braccia di uno dei pochi che hanno cercato di legare lei, ad una corda, e c'era quasi riuscito. Forse perché quella che stava usando non era affatto una catena ma un'offerta che lei non era pronta ad ascoltare. Nessuno le ha mai insegnato che le redini di un cavallo si possano tenere in due e che questo non avrebbe significato dirottare del tutto la cavalcatura. Una bestia solitaria, Madame Chirì, che al pari di Gomory ha conosciuto innumerevoli volti, molteplici mani ed un mucchio di nomi che ha fatto presto a dimenticare. Javor, tra tutti, non ha mai sbiadito la sua immagine nella propria memoria. Ma adesso non ha sotto gli occhi la realtà di quello a cui la zingara non voleva dare credito? Due condottieri dello stesso corpo, impegnati a raggiungere i medesimi obiettivi. Non si inganna abbastanza da non credere che il Demone abbia i suoi scopi e che quello non sia che un mezzo di trasporto, per lui, atto a raggiungere un fine. Eppure se le cose possono funzionare in uno spazio così ristretto, chissà che non è stata sciocca a pensare che non avrebbe potuto andare bene dividersi l'intero mondo attorno a loro. La battaglia spirituale di Chirikli non necessita di intrusi, o di demoni nella sua testa, già sufficientemente violenta tra il suo cuore e la follia che osa chiamare "ragione".

    <...mi chiedo cosa ti abbia raccontato di me, se ti servivano ancora conferme. > Cosa succede nella mente di un uomo posseduto dall'inferno? I ricordi diventano un solo calderone da cui entrambi possono usufruirne o è merito del serbo se quell'entità la conosce meglio di quanto voglia far credere? Potrebbe cercare risposte in un volto che riusciva a dirle tutto e nulla, con un solo sguardo, trincerato dietro quella brutale serietà che ora sembra solo farsi più accentuata dalla vista difettata. Eppure quando lo guarda, deve ricordarsi che i suoi sorrisi, l'espressione di compiacimento, diamine - ci giurebbe - persino quel che si muove sotto la cintola, sono opera di qualcun altro.
    Se le piace? Forse anche lei ha bisogno di abituarsi alla condivisione, un concetto che non le dovrebbe essere troppo estraneo. Non c'è nulla che appartenga solo a lei, in quella vita terrena, ed è ciò che insegna a tutto il suo esercito: se c'è qualcosa che desiderano, non devono fare altro che prendersela. Ecco perchè alla fine aprire il suo volto in due con la lama del coltello, beh, semplicemente non è un'opzione ponderabile. Ucciderebbe entrambi e non ha fatto tutta quella strada per accontentarsi di due chiacchiere col guardarobiere. < I miei figli sono il mio lascito. Tutto ciò che rimarrà di me, di quello in cui ho creduto, delle catene che ho spezzato...saranno loro. > Il respiro contro la sua figura rimarca il piacere che affolla il suo sguardo. Un piacere sensoriale, sporcato unicamente dal fremito che anche Javor deve combattere nella sua personale gabbia di carne e coscienza: la voglia di parlare con chi era venuta per vedere. < Non che tu possa capirlo, Demone, considerando che tutto ciò che ti serve per continuare a vivere tra noi...è un nuovo vestito. > Ha gli occhi bassi per sfuggire al suo giudizio, al giudizio di chi la sta guardando attraverso gli occhi di Gomory, perché mostrarsi vulnerabile non è tra i suoi passatempi preferiti. E chissà cosa avrebbe scorto sul suo volto disfatto: invidia, gelosia, bramosia? Gli nega una qualunque risposta in merito ed anche la voce si fatica a ricondurla a qualcosa in particolare, soprattutto quando il controllo rimane in sospeso assieme a quel dannato ascensore.
    Ci vorrà parecchio perchè il silenzio si faccia di nuovo padrone, smettendo il cigolio dei cavi che sorreggono l'ascensore o il respiro affannoso della donna che lui recupera un attimo prima che sfiori il suolo. Si contorce, Chirì, che infestata dall'elettricità sembra pulsare di una luce che fluisce direttamente assieme al suo sangue. Un bagliore che risale allo sguardo con una freddezza che un attimo prima non c'era, scalzando e scacciando la risata che muore sulle labbra disordinate quanto il suo umore. Guardare quel volto, quell'oscurità, può averle ricordato soltanto un futuro che è pronta ad accogliere a braccia aperte: nessuno si aspetta che finisca per sedersi alla Destra del Padre. Ma scorgere il possesso di quelle fiamme sul volto del Serbo è una faccenda diversa, una di quelle lotte che non è sicura che potrà combattere senza armarsi di un frustino. Se è il cavallo sbagliato a finirti tra le mani, è bene che ad essere giusto sia il metodo con cui si sceglie di infilargli il morso tra i denti e metterlo a tacere. < ...non avrei saputo chiedere un lasciapassare migliore di questo. > Se il Diavolo ti accarezza dicono voglia la tua anima ma se ti invita ad una partita, magari la posta in gioco potrebbe salire. Per entrambi.
    Il fiato bollente della creatura demoniaca non è così diverso da quello del serbo, al punto che quasi non si renderebbe conto della differenza se non fosse che...

    Lo capisce. In un solo istante quella rovente gentilezza si trasforma nella forma di rispetto che ha sempre preferito: il modo in cui Javor riusciva a farle intuire quanto forte fosse, ai suoi occhi, semplicemente inchiodandola contro un muro. Forse erano rare le volte in cui per davvero riusciva a cedergli il comando ma non mancava mai di apprezzare quei momenti, perché a lui - ed alla sua famiglia - non ha mai mentito. E' stato proprio per non dovergli mentire che è fuggita da lui, senza una parola. Per non ingannarlo, che ha preferito tagliare ogni ponte.
    Non lo ingannerà neanche ora, quando finalmente può abbandonare la maggior parte delle difese che ha sempre con sè e lasciare che sia la parete dietro la sua testa a sostenerla, mentre lei cerca l'appoggio dei suoi capelli d'argento con tutte e dieci le dita. < Non c'era altro che volessi sentire. > Che quel petto non era fermo per causa sua, indifferente perchè lui lo era ma soggiogato dalla volontà di un demonio che li ascolterà sempre, un dettaglio che la donna non ha intenzione di dimenticare. Ha dovuto abbandonare a terra l'anello che cercava di riprendere ma lo farà dopo. Ad ogni respiro il petto si solleva, andandogli incontro, e Chiriklì sta nuovamente sorridendo tra gli strascichi di una debolezza che svilisce il suo pallore. Quell'elettricità che illumina ogni porzione di pelle scoperta va lentamente a scemare, man mano che lui si impegna a ricomporre i pezzi di una lontananza che ha cambiato tutto senza cambiare assolutamente nulla. Lei? Aspetta che il volto dell'uomo sia all'altezza del proprio, prima di abbandonarsi contro la sua fronte. Si muove come farebbe un gatto, cercando di spingerlo via ma solo per farsi più vicina al suo volto. Sfiorarlo col respiro, costringendo la sua tensione a fare i conti con la scioltezza di chi - a differenza sua - ha sempre visto ogni occasione buona non per soccombere, a quei nervi, ma per sfruttarli nel migliore dei modi. < Mi sembra che l'inferno non voglia saperne nulla di te, moj rom. > Tutti i segni che ha addosso, ogni cicatrice, sono uno sfacciato rifiuto della morte. < E sono tornata per rimandare quel momento quanto a lungo mi riesce. > Non ci prova nemmeno a scostarsi dalla sua presa, che cerca anzi di fare più stretta ancorandosi con una sola gamba al suo fianco destro ed attirandolo più vicino di quanto sia fisicamente possibile. < ...ci sarà una guerra in questa città e lo sai che l'odore del sangue mi ha sempre attirato al posto giusto, nel momento propizio. > No, non lo ha mai ingannato, e sia lui che il Demone nella sua carne e costosi abiti su misura dovranno sentire quello che ha da dire. La vera ragione per cui oltre ad essere tornata a New Orleans, ha deciso di mettere piede in quel Casinò. < Non avrei mai lasciato che la mia famiglia l'affrontasse da sola, non quando posso aiutarli a raggiungere la vittoria. >
    E Javor potrebbe essere parte di quella famiglia che non ha voluto abbandonare, non per davvero. O forse una pedina tra le più importanti sulla scacchiera, con la quale vincere la partita. A volte con Chirikli non c'è mai una sola risposta, una sola verità, perché il caos viaggia su binari imprevedibili. Ciò che importa è il dove le sue scelte la conducano e questa volta si dà il caso che sia di nuovo tra le sue braccia, contro la stoffa di una camicia lacerata ed un anello che guarda per l'ultima volta, prima di cercare la tensione del suo unico occhio mortale. < Finchè non sarò io a deciderlo, nessuno aprirà quelle porte. Hai il tempo di prendere tutto quello che vuoi, prima di andare all'inferno. > Primo fra tutto il sapore del suo rossetto preferito, dal gusto dolciastro in contrasto così sfacciato da quello che è la loro esistenza. Lo cerca con fame, una fame durata cinque lunghi anni, andando incontro alle sue labbra e a quelle di Gomory. Lo senti, demone, il sapore della prima vittoria?
     
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