Just a break

Chris & Sadie

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    Deve essersi abituato alla totale incapacità di Sadie Morgan nel nascondere le sue emozioni. Certo, interpretarle è tutt'altra storia ma non si sorprende poi troppo di vederla intenta ad evitare il suo sguardo con tanta concentrazione. Né può dirsi troppo stupito del fatto che poco dopo stia sorridendo anche lei.
    Mutevole, un po' come chiunque non abbia troppo controllo del proprio mondo, che sia quello interiore o quello esteriore. L'unica differenza tra sé stesso e quella ragazza è che lei non riesce a celarlo. Le porge quella tazza abbastanza sicuro che non sarà costretto ad uscire da lì per passare la notte in macchina, ma lasciandole comunque il tempo di rispondergli e giustificarsi con una scusa che gli strappa - se possibile - un sorriso ancora più largo. Non arriva di certo a ridere di lei, ma il fatto che secondo Sadie la sua tensione stia a significare che faccia bene il proprio lavoro, beh, rilassa gli ultimi nervi appena sotto la superficie della pelle scura. < Onestamente non so che diavolo sto facendo. Non è che abbia mai dovuto aspettare un Vampiro...Magari serve un paletto o dell'aglio ed io ho solo la mia pistola > Con cui era più probabile che finisse per sparare a lei che ad un vampiro, come ha già rischiato di fare la volta precedente. Sembra destinato a rimanere sul filo di un rasoio finché rimarrà nei dintorni della Saltatrice ma deve essere davvero un'idiota se la cosa non sembra dispiacergli affatto.
    < Penso sia il più buono che abbia bevuto da un bel po' >
    Il caffè era buono davvero ma non sarebbe stata la stessa cosa se lo avesse bevuto da solo, com'è solito fare. O con gli occhietti poco malevoli di Alistair a fargli da unica compagnia. È lei a rendere più piacevole qualunque cosa. Anche la prospettiva che un mostro a otto zampe potrebbe passeggiare per il salotto da un momento all'altro.
    Si, deve essere un'idiota, questo è certo.

    Al piano di sopra ci è arrivato con un desiderio che sino a quel momento era rimasto sopito sotto strati di nervosismo. Quello di levarsi di dosso quella roba e tutta la giornata appena passata.
    Non aveva capito quanto gli andasse di buttarsi sotto un getto d'acqua fredda finché la prospettiva non si è fatta reale sotto il suo sguardo. Forse per questo guarda con una certa fretta la stanza di Sadie, notando poco e nulla prima di infilarsi con lei nella camera che sembra sarà anche quella in cui passerà la notte. Lancia un'occhiata ai vestiti, sbuffa dalle narici mentre solleva la salopette con un certo cupo divertimento, e poi si getta sul braccio i jeans scoloriti. < Andranno benissimo. A parte la divisa, non sono un tipo troppo attento alla moda. > Sta scherzando a modo suo, ovvio, considerando che quella stessa divisa da Sceriffo è quasi immutata da decenni.
    All'interno del bagno poggia i jeans sulla prima superficie disponibile ed afferra i primi bottoni della camicia, prima di rendersi conto che il corvo è ancora lì e Sadie è costretta a richiamarlo. Si gira verso di loro, aspettando, ma non può far a meno di riflettere su una cosa. Così li accompagna alla porta e si appoggia con un braccio contro lo stipite. < Ehi, cornacchia, mi capisci vero? > Prima che entrambi vadano via, cerca di richiamare l'attenzione della bestia. Poi gli andrà ad indicare la porta, poggiandovi sopra una mano aperta. < Lascio dischiuso. Sei autorizzato ad entrare se dovesse servire. Mi capisci? Se lei è in pericolo, vieni ad avvisarmi. > Spera che quello abbia sviluppato abbastanza comprensione del linguaggio umano e nel frattempo, gli lascia comunque uno spazio utile ad intrufolarsi in bagno qualora dovesse servire.

    Ha guardato la vasca ed è finito per aprire comunque il getto della doccia. Non ha mentito alla padrona di casa: si infila come se nulla fosse sotto le gocce fredde che ricadono nella vasca vuota. Tira la tenda o chiude qualunque cosa serva ad isolare la vasca, poi passa buoni cinque minuti senza quasi muovere un muscolo. Lascia che l'acqua porti via gran parte della stanchezza e dell'umidità accumulata nelle lunghe ore che ha passato lontano da casa, poi coi palmi si strofina la faccia e la testa come se potesse servire a liberargli la mente dai pensieri che solo il rumore ritmico di una doccia sa rievocare.
    Di solito gli piace riordinare le idee in quei momenti ma ora vuole solo smettere di pensare. E ci riesce quando le mani trovato il bagnoschiuma e lo shampoo, li apre e riconosce un profumo che non avrebbe saputo in alcun modo indovinare. Quello di Sadie, soprattutto quello dello shampoo, di cui legge l'etichetta con gli occhi semichiusi sotto le gocce gelide di acqua corrente. Agrumi, ecco cos'era. Non ha mai avuto un buon naso o forse non gli è importato mai molto di distinguere profumi come quello. Sa iddio perché lo stia facendo ora.
    Il resto del tempo lo passa ad aspettare che l'acqua porti via anche l'ultimo residuo di sapone, dopo aver strofinato via tutto quello che l'esterno della Louisiana lascia incollato sulla pelle. Inclusa la sensazione di avere insetti persino nella barba, in quel periodo dell'anno. La Saltatrice non sa quanto la sua schiena, per Christopher, non sia stata che uno straordinario riflesso della propria. C'è solo una sottile differenza che non lo ha lasciato inerme, nel sapere che la sua pelle è stata rovinata da un figlio di puttana che credeva di potersi considerate suo padre, mentre lui ha dovuto solo fare i conti con un incidente di cui non ricorda nulla. Ma sono lì, su entrambi, i segni di due vite che hanno solo iniziato a scalfire in superficie.

    Viene fuori dalla vasca con le mani impegnate a recuperare gli asciugamani, per asciugarsi il più velocemente possibile prima di infilarsi i vecchi jeans che Sadie ha trovato per lui. A quel punto si rende conto di non aver preso la camicia e così ha ancora le dita impegnate a strofinare con un telo la testa e la nuca, quando esce dal bagno. Questa volta si sofferma sulla soglia della sua camera, abbassando lentamente il braccio dalla testa e passandosi il telo su una spalla. Non entra ma osserva la camera, ordinata, occupata da quei libri che le piace leggere. Il nome sulla bottiglietta non riesce a vederlo ma nota altri particolari e si sorprende ad annusarne l'odore senza rendersene conto, come un cane curioso. Poi sospira a sé stesso prima di ritrarsi ed entrare nella camera più spoglia, infilandosi l'indumento mancante e scendendo le scale per raggiungerla.

    Alla fine ha optato per la camicia a quadri gialla, di cui ha sollevato le maniche e tenuto aperto qualche bottone per sopportarne il tepore. Ha ancora la pelle un po' umida sul collo e sicuramente non ha asciugato alla perfezione la testa, ma ha lo sguardo più tranquillo e la postura più rilassata. Entra nel salotto cercando di sistemare la piega delle maniche sui gomiti ed intercetta il suono di un film che era in pausa sul portatile. Alza lo sguardo su Sadie seduta sul divano e deve avere proprio l'aria di qualcuno con la coda di paglia perché si ferma lì, poco distante dal tavolo, a cercare di capire se lei stia solo guardando il film o abbia sul volto qualcos'altro. Ad esempio il dubbio su chi lo abbia fatto ripartire.
    < ...scusa, non volevo metter le mani...> Da nessuna parte, in realtà. < Volevo fare solo una breve ricerca mentre ti aspettavo ma è partito...> Il film < Poi tu hai urlato e...> Deve socchiudere gli occhi per non sospirare troppo a lungo. Ma che sta dicendo? < Grazie. Mi ci voleva proprio. Se vuoi una mano con la caldaia, devi solo chiedere > Ricorda che aveva detto di volerla sistemare, prima, anche se l'ha fermata prima che potesse farlo. Si affianca al divano e qualunque sarà la sua reazione, se sarà ancora lì seduta, Christopher Moore sembra aver deciso di voler provare quella stessa posizione. Sfila la pistola dalla fondina e si lascia cadere seduto e distende la schiena sino a poggiare la testa contro il bordo dello schienale, ed un braccio sul bracciolo, per poi abbassare le spalle in un respiro prolungato. Con l'arma poggiata contro una coscia, puntata con sicurezza verso un punto vuoto della stanza, le parla senza sollevare nuovamente le palpebre. < Perciò se ti mandassi una foto di casa mia, se dovessi essere in pericolo potresti arrivarci? Dico bene? > Ci stava riflettendo, su quello. L'unica buona ragione che gli venga in mente per fare una foto della propria casa, suggerita da una saltatrice dello spazio tempo. Deve essere davvero ora di bere qualcosa di più pesante.
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    Ci vuole poco per distoglierla dai cattivi presagi dei suoi stessi pensieri. Un sorriso fa miracoli. Se poi è quello che si delinea tra la barba di Christopher ha un effetto praticamente immediato su di lei. Non le era mai capitato di essere così sensibile a uno sguardo, o così bisognosa di vederlo un sorriso, più di quanto possa desiderarlo dal proprio riflesso in uno specchio. E se sembra così contenta che lo Sceriffo abbia apprezzato la miscela di caffè, c'è altro che dice invece a renderla pensierosa. Con la fronte che si increspa appena, non appare turbata, quanto invece più riflessiva. Ma non vi darà voce, non quando sono altre le priorità. Non è il massimo offrirgli vecchi abiti da lavoro del defunto nonno, ma saranno sempre meglio che costringerlo con solo un asciugamano addosso o con un accappatoio. Ma quando solleva la salopette guarda questa, poi guarda lui inarcando le sopracciglia. Con le labbra che tremano per la fatica di trattenere la risata spontanea che le sta grattando la gola nel notare la sua faccia. < S-scusami... > Forse per aver osato propinargli quella vecchia salopette. O forse perchè alla fine non riesce a trattenersi davvero e inizia a ridere piano. < Perdonami, ti stavo immaginando con quella addosso... > E il risultato deve essere buffo se sta facendo fatica a smettere di ridacchiare. < ... Senza niente sotto > Ma a quel punto l'immaginazione le gioca un tiro mancino e va oltre i limiti leciti, spogliandolo. La risata annaspa in un paio di colpetti di tosse e si schiarisce la gola scuotendo la testa. < Ecco, si. Ottima scelta direi > Quella dei jeans. E c'è un motivo se si affretta verso il bagno, evitando di mettersi ulteriormente in imbarazzo. Ha ormai perso il conto di quante volte si sia data mentalmente della stupida; inizia a credere di non avere la minima speranza di riuscire a passare dieci minuti senza meritarsi qualche occhiata in tralice o di biasimo. Dopo tutto quello che gli sta facendo passare può anche concedergli una tregua. E' pronta a lasciarlo a un bagno meritato, ma si ferma quando Christopher sembra voler richiamare l'attenzione del corvo. < Alistair? Sta parlando con te > Perchè cornacchia non gli suona così familiare, ma gli punta lo sguardo addosso in seguito, dopo aver usato la spalla della convocatrice come trespolo. Guarda la sua mano contro la porta, poi la cornice della stessa, infine si attarda sul suo volto scuro. Non comprende il concetto di autorizzazione, perchè fa quello che gli pare nei limiti degli ordini che la Saltatrice gli impartisce. Sarà per quello che lo fissa lungamente, immobile, senza neanche muovere una piuma, carico di aspettativa. < Se sono in pericolo vieni a chiamarlo > Riassume lei, in modo alquanto spicciolo, per il mostricciatolo. Che alla fine fa su e giù con il capino nero, confermando che ha capito. < Ci aiuta contro quelli cattivi che vogliono farci male, sai? Ci protegge > Sta dicendo al compagno mostruoso dopo un ultimo sorriso verso lo Sceriffo, ed essersi voltata, lasciandolo alla privacy di quattro pareti e una porta socchiusa. Ma non ci sarà alcun corvo che entra gracchiando nel bagno, niente a disturbare la sua quiete per tutto il tempo che resterà in ammollo.

    Se c'è una cosa di diverso che troverà ritornando nel salotto sarà quello che ha lasciato sul tavolo della cucina. Dell'aglio, in spicchi, su un piattino. Lo aveva nominato in precedenza, ma manca il paletto di legno. Nel dubbio lo ha preparato l'aglio che, male che vada, può essere sfruttato per preparare la cena. La Saltatrice invece se ne sta seduta sul divano - o per meglio dire rannicchiata - con le ginocchia alte, i piedi poggiati sul bordo, con un braccio attorno alle gambe. E l'altra mano chiusa a tenere fermo il corvo che sta gracchiando furiosamente contro lo schermo del portatile, cercando di raggiungere con il becco la testa bionda di Brad Pitt che s'intravede insieme alla testa mora dell'altra protagonista del film. < Era un addio, non un bacio > Sta mormorando insieme a lei, con lo stesso identico tempismo di chi conosce a memoria quel film. E con voce rotta. Sul suo volto lei non ha nessun dubbio, solo due gote rigate di lacrime che vengono giù senza ritegno. E' così presa, immersa nella scena, che si accorge di Christopher solo quando sente la sua voce. Sussulta e solleva su di lui un paio di occhi lucidi, costernati e confusi. < Cosa...? > Sbatte le palpebre, poi lascia andare il corvo che non perde occasione per prendere d'assalto lo schermo. E lei si affretta a spegnere il video con un click prima che finisca raschiato a furia di quelle beccate rancorose che il mostriciattolo non gli risparmia. Gracchia furiosamente, con le piume umidicce e appesantite che sottolineano maggiormente quanto sia magro ed emaciato. E nonostante tutto ne ha di vigore in corpo se poi saltella sulla coscia dello Sceriffo - quella non occupata dalla pistola - dopo che si è accomodato anche lui sul divano. Tira fuori versacci petulanti, cercando di dirgli chissà cosa animatamente puntando a più riprese verso il portatile neanche rappresentasse una terribile minaccia. Deve esserlo in qualche modo per la Convocatrice se la riduce in lacrime.
    < Shh, basta. Lascialo in pace > Sembra così rilassato in quel momento. Lo rimprovera mentre si asciuga gli occhi con le maniche della giacca della tuta, sbuffando appena. No, ci si nasconde tutta la faccia dietro la stoffa < Va tutto bene. E' solo questo stupido film... > Si affretta a dire, con un filo di voce, prima di farlo angosciare seriamente. Ormai è così rassegnata a fare pessime figure che la vergogna è di breve durata. < Adesso passa... > Si strofina gli occhi, poi inspira profondamente. < Se vuoi usare il portatile fallo senza problemi, quando vuoi > Non sembra avere la minima remora a riguardo, e neanche ha da rimproverargli il suo precedente tentativo di smanettarci. Alla fine abbassa le ginocchia e tira indietro le spalle, imitandolo nel distendere la schiena. Sul suo viso insieme alle lacrime ha cancellato via anche la tristezza, resta solo la piega un poco amara delle sue labbra perchè proprio quel finale non riesce a digerirlo < Magari dopo. Ma posso pensarci anche da sola > Per la caldaia. Sembra dispiacerle disturbarlo. < Vuoi allungare le gambe sul tavolino? Magari ti metto il portatile in grembo > E a quel punto gli mancherebbe solo una birra in mano. Quello che è certo è che vuole dargli la possibilità di mettersi comodo in ogni modo possibile e immaginabile. < Ho trovato l'aglio. Ma non so cosa potremmo usare come paletto. Ho qualche ciocco di legno fuori. O potremmo usare il piede di una sedia... > Sono di legno quelle del salotto, verso cui adocchia. Ci ha pensato su abbastanza da essere disposta a sacrificarne una senza battere ciglio. Si gira di lato, poggiando un gomito contro lo schienale, solo per poterlo guardare. E qualche occhiata di troppo scivola verso la sua pistola, tra curiosità e timore: le fa ancora un certo effetto vederla fuori dalla fondina. < Si, se avessi una foto di casa tua potrei arrivarci. Mi basta visualizzare l'immagine, desiderarlo. E poi sarebbe come aprire una porta e varcarne la soglia > E' disposta a rispondere a riguardo ad ogni sua domanda, ad ogni suo dubbio. Perlomeno il corvo ha smesso di gracchiare e lo sta guardando neanche si aspettasse una risposta alle proprie dissertazioni incomprensibili a orecchio umano. Passeggia dalla sua gamba a quella della Saltatrice, ancora incapace di trovare pace. < Ho anche trovato nella credenza delle bottiglie di liquore. Ma non so se vanno bene per il gioco che hai detto... > E non è l'unico dubbio che ha al momento. Esita un attimo, poi si strofina il naso arrossato. < Ma magari vuoi riposare. Se vuoi chiudere gli occhi io me ne sto buona e zitta. Posso mettermi a leggere qualcosa > Non ha nessuna pretesa al momento. La verità è che le basterebbe anche solo restare così, semplicemente a guardarlo. Soffermandosi su come gli calza quella camicia antiquata, o su come le formicolano le dita dalla tentazione di toccargli i capelli ancora umidi. E quello, quello le strappa una sorta di sospiro tormentato che le gonfia il petto.

     
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    Uno dei miracoli della mente umana è la sua adattabilità quasi perfetta ad ogni situazione. Ci sono comunque dei limiti che nessuno è in grado di superare senza effetti collaterali, ma Christopher ha avuto modo di capire che quella nuova realtà non è riuscita a scavalcarli in alcun modo. Potrebbe quasi trovare poetico come le differenze che lui stesso credeva di rappresentare già solo col colore della sua pelle non siano che una barzelletta, in confronto a cosa c'è di diverso lì fuori. Sotto gli occhi di tutti.
    Con il bagno alle spalle, si è lasciato anche gli ultimi stralci di disagio che quel pomeriggio rischiava di costruirgli addosso in un'armatura sempre più spessa. La prospettiva che una creatura dai denti più affilati di un rasoio possa entrare in quella casa da un momento all'altro è ancora lì, come un'ombra nell'angolo più remoto della sua visuale, e niente glielo farà dimenticare. Neanche un piccolo gioco alcolico. Però non ha neanche intenzione di passare le prossime ore a ricordare costantemente ad entrambi che quello è quanto di più vicino ci sia ad un appostamento e non ad una visita di piacere: non c'è alcun motivo di rendere le cose più difficili di quanto già non siano state sino ad ora.

    Quando la lingua ha smesso d'incepparsi in quelle labili scuse, il divano ha pensato a rilassare anche il resto dei suoi muscoli. Da quella posizione ha anche la possibilità di vedere più da vicino l'espressione che già dall'uscio della stanza non gli quadrava: Sadie sembra sul punto di sciogliersi in lacrime con uno strazio che non capisce da dove sia sbucato di punto in bianco. Mezz'ora prima era lì che rideva all'idea dello Sceriffo in una salopette ed ora è sul punto di strizzare a morte il suo corvo mentre piagnucola sul portatile. Non proprio quello che si direbbe un balsamo per i suoi nervi ma l'intuito gli dice di tacere sino a che non sarà lei a lanciargli qualche mollica da seguire. Ed alla fine il sentiero è più breve del previsto: questo stupido film. < No, non c'è problema...userò il mio quando torno a casa. > Distratto e spicciolo, senza aver distolto lo sguardo dal profilo della ragazza. Le zampe del corvo che gli sale su una gamba sono un'eco che sceglie di non ascoltare, almeno per il momento. < Non lo so, sai...> Una mano - quella libera - risale a strofinare una tempia, insicuro su come debba formulare quella frase senza ferirla. Ma soprattutto non del tutto certo di riuscire a dissumulare il mezzo sorriso che gli sfugge quando prova ad ignorare il fatto che stia discutendo con una donna di un film tra i più romantici degli ultimi vent'anni. < Immagina che storia sarebbe stata. Frequentare la morte...in che modo pensi che sarebbe andata, come relazione? Non tra le più appassionate. > Il corvo non trova pace e continua a passare da un ginocchio all'altro indisturbato, almeno sinchè Chris non si allunga a lasciare la pistola sul primo piano d'appoggio disponibile. Quando sarà necessario recuperarla, potrà farlo senza impiegare più di un muscolo e sprecare più di due secondi netti. Torna a sistemare la schiena contro il divano giusto in tempo per assecondare le proposte di Sadie Morgan con uno dei suoi soliti sospiri, che ormai dev'essere chiaro che gli sfuggano quando quel che vuole dire fa meglio a tenerlo per sè, per un motivo o per un altro. In questo caso deve avere a che fare con la non proprio remota possibilità di offendere la proprietaria di casa, seppure non resista dal sollevare le sopracciglia in sua direzione. < Ehi...quanto vecchio credi che io sia? > Ironico, a suo modo, mentre la testa segue una breve rotazione accompagnata da un massaggio che decide di concedersi da solo, a cinque dita dietro alla nuca. L'aglio sul tavolo gli era sfuggito ma ora che ci fa caso, la risposta scivola fuori da sola, più seria e meticolosa di quanto avrebbe voluto che fosse su quell'argomento. < Pensi che serva che lo ingeriscano? O forse anche solo toccarlo o inalarne l'odore...> dubbioso, guarda anche le sedie del salotto, poi finisce per osservare il soffitto ad occhi aperti. < Penso che se dovesse davvero servire, il vero problema sarà riuscire ad acchiapparlo. Immagino che per poter sopravvivere e non essere visti da nessuno, abbiano capacità che possiamo solo immaginare. Pensa a cosa sei in grado di fare tu, pur essendo umana...> Ancora non c'è nulla che gli faccia pensare a loro come a delle creature senzienti e potenzialmente gradevoli. Nemmeno le suppliche di Jason Blake.

    Il divano si alleggerisce del suo peso quando fa perno coi palmi per tirarsi in piedi, sottraendosi allo sguardo della Saltatrice seduta lì vicino. Le dita scure controllano per l'ultima volta di aver fermato la camicia sui gomiti, troppo corta per arrivare a coprire tutto il braccio. Quando è in piedi, Christopher sembra muoversi con più leggerezza di quello che il suo peso dovrebbe consentirgli. Ha imparato a spostarsi con un silenzio non perfetto, ma accorto, ed anche mentre muove qualche passo per cercare le bottiglie i liquore non manca di spostarsi come farebbe su una scena del crimine. La camicia stretta mette in risalto come tenda la schiena in una posa sempre sospettosa, quasi chiusa in sè stessa, che sul divano era riuscito invece ad abbandonare del tutto. Poco male: quando avrà trovato bicchieri e bottiglie, potrà tornare a sprofondare nel lato lasciato libero da Sadie e piazzarle in mano uno dei bicchierini. < Te la farò avere, la foto. Non girarla a Blake, però: non vorrei che mi spedisse l'ambasciata magica a discutere dei pari diritti di vampiri e gnomi da giardino. > Cerca i suoi occhi prima di far scattare il polso per rompere il sigillo della bottiglia e versare da bere ad entrambi. <scusa, Sadie, mi è uscita peggio di quel che volessi. > O almeno di quel che avrebbe voluto con lei.
    Sta attento a non distogliere lo sguardo dal bordo dei bicchieri anche mentre scrolla la testa, abbassando le spalle all'ennesima resa alla contraddizione vivente che è quella ragazza. < Riposerò...dopo. > Un paio di bicchieri di quel liquore e possono stare sicuri di essere abbastanza rilassati da raccontarsi qualcosa di troppo o fare qualcosa di altrettanto stupido, tra cui anche dormire. < Inizio io. > La bottiglia finisce a terra, poggiata a metà strada tra di loro. Quello è un gioco che può funzionare tanto meglio quanto meno si conosce il proprio avversario. Sente di non conoscere affatto Sadie ma nonostante tutto ha diverse armi con cui potrebbe farle scolare la bottiglia, e viceversa. Il giorno in cui lo Sceriffo verrà meno alla giustizia non è quello e non approfitterà di tutto ciò che l'altra già gli ha raccontato. Preferisce testare un campo del tutto nuovo. < Non ho mai...viaggiato oltre l'America. >

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    Nonostante le ciglia umide e gli occhi arrossati, le labbra si dimenticano presto della loro piega amara per rimodellarsi in un sorriso discreto, timido. E' l'effetto che sembra farle lo Sceriffo, la cui presenza è in grado di distoglierla dalla malinconia che, puntualmente, rischia di minacciare il suo umore. Avrebbe molto di cui vergognarsi, a partire dalla propria emotività a quelle lacrime che tampona piano sino a cancellarle. O all'incapacità di trattare un ospite, che rischia di soffocare di premure. Il timore di sbagliare qualcosa, di offenderlo, e di vederlo guadagnare la porta in tutta fretta, è una preoccupazione costante che la fa stare sempre sulle spine. Ma se Christopher sino ad ora ha resistito stoicamente, forse c'è speranza che riesca a raggiungere la fine di quella giornata senza pentirsi troppo di averla conosciuta. Lei lo sembra anche in quel momento emozionata, trepidante, solo per il piacere di essere in compagnia. In sua compagnia. Ci sono paure diverse in agguato, più sottili, ben differenti dalla semplice preoccupazione di finire con il collo nuovamente sotto i canini di un vampiro. Sta cercando di nascondere la propria inadeguatezza in ogni modo, insieme alla paura di ritrovarsi con i palmi delle mani sudati: sarà per quello che continua a strofinarseli contro i pantaloni. E quasi tira una manata al corvo, quando le cammina sulla gamba, colpevole di starla distraendo dai commenti del proprio interlocutore. Che la pone davanti una questione interessante, qualcosa su cui non aveva riflettuto così a fondo.

    Per quello resta in silenzio qualche lungo istante, schiudendo e richiudendo più volte le labbra che alla fine si assottigliano in una linea sottile quando sembra aver toccato il fondo delle proprie elucubrazioni mentali. < Forse hai ragione... > Ammette, alla fine, esitante. < Solo che io piango per lui. Per la Morte. Non per lei... > Distoglie lo sguardo da lui, un mano risalita sul collo a grattarselo piano, in evidente difficoltà. < Tutti temono la Morte. La evitano. Immagino lui si sia sentito parecchio solo, senza mai conoscere l'amore. Poi si innamora, ed è costretto a rinunciare a lei. E' quello a rattristarmi... > Chiaro che si è identificata con quella figura. Con il Mostro. < Ma è solo un film. Una sciocchezza > Taglia corto, a disagio. Che ne può sapere davvero lei di relazioni? Sarebbe un confronto quello, un argomento, in cui parte totalmente svantaggiata. Invece segue con lo sguardo il suo movimento, quando torna ad appoggiare la pistola a portata di mano. E in un certo senso è abbastanza per farla rilassare maggiormente. < Non saprei. Trentacinque anni? > Azzarda, provando a indovinare la sua età. Con lo sguardo che risale immediatamente verso il suo volto scuro, cercando di indovinare quale sia il piglio reale che si confonde tra la sua barba. < Oh, se sei più vecchio te li porti benissimo. Davvero bene > Aggiunge in fretta. Deve aver registrato tardi la sua ironia, ma ci manca davvero poco che si offra di massaggiargli pure il collo dopo averlo visto pensarci da solo. E la domanda sull'aglio e sul resto le ricorda come lui sia finito proprio lì, sul suo divano, con il compito di sorvegliare la sua incolumità. < Non credo dovrei strofinarmi l'aglio sul collo, vero? > Che sarebbe poi realmente l'unico modo che le viene in mente di creare un contatto tra il vampiro e il famigerato aglio. La faccenda sembra impensierirla di nuovo, ma non ha nessun suggerimento concreto e reale che possa basarsi su qualche certezza. < Forse potrei scrivere a Jason e chiedergli qualcosa a riguardo... > Come se già non lo avesse disturbato abbastanza con le domande più assurde, alla ricerca dei consigli più disparati.

    Christopher ha due paia di occhi puntati addosso quando si guarda. Quelli neri del corvo, che lo seguono con curiosità, e quelli azzurri della Saltatrice che non lo abbandonano un solo istante. Uno sguardo che si fa più coraggioso quando lui non la guarda, impegnato a cercare le bottiglie e i bicchieri. < In quella credenza sulla destra... > Lo ragguaglia subito, registrando ogni suo movimento. E atteggiamento. A vederlo così le viene quasi naturale domandarsi se ci sia una qualche minaccia in quella stanza che lei non ha notato. Poco dopo si ritrova con un bicchierino tra le dita, che trema appena per lo sforzo che sta facendo di non scoppiare a ridere. < Gnomi da... > E poi le sfugge quella risata che stava cercando di soffocare, che taglia a metà il resto delle sue parole. Deve essergli invece uscita bene quella battuta, perchè lei fatica a contenersi, e per una volta ha gli occhi lucidi di divertimento. < Ora non guarderò più gli gnomi da giardino allo stesso modo > Non senza riderne. O pensare a lui. < Bene, si. Sono pronta > Si schiarisce la gola, poi raccoglie le gambe, cercando una posizione ancora più comoda su quel divano. < E no, non gli farò vedere quella foto > Promette, con un filo di voce. Ma già all'inizio del gioco sembra in difficoltà. Guarda lui, poi la bottiglia posizionata a terra, indecisa. < Io sono finita a Singapore... > Come già gli aveva accennato. < Ma viaggiando non in modo convenzionale. E ci sono rimasta solo per tre minuti esatti... > Picchietta le unghie sul vetro del bicchiere, poi torna a fissare la bottiglia. < Ma tecnicamente ho lasciato l'America. Quindi immagino io devo bere, giusto? > Se ha capito come funziona quel gioco. Quindi allunga la mano verso la bottiglia, pronta a versarsi quel liquore, lascito di suo nonno. < Quanto me ne verso? Due dita? Tre? Riempio tutto il bicchiere? > Nel dubbio si ferma a metà, sollevando poi lo sguardo sullo Sceriffo in cerca di una conferma. E a seconda della risposta, aggiungerà alcool o meno alla dose già versata. Lo sente già l'odore pungente del liquore, uno a cui non deve essere per niente abituata. Si accosta il bicchierino alle labbra, sino a bagnarsele. E poi lo manda giù tutto d'un fiato, come ha visto fare nei film, immaginando che sia quello il modo giusto per farlo. < Ouf. Bruc-ia > Non se lo aspettava così forte, ma dopo qualche colpetto di tosse sembra pronta per un altro giro, in cui vuole cimentarsi coraggiosamente. < Non è male > Ammette pure, leccandosi le labbra. Se il primo impatto è stato brutale, il retrogusto che le lascia in bocca non le dispiace affatto< Okay... > Si sventola brevemente il viso, poi assottiglia il taglio degli occhi fissando il suo compagno di giochi. < Non ho mai... > Ci sono tante cose che vorrebbe scoprire, ma inizia con qualcosa di neutrale. < ... Bevuto così tanto da ubriacarmi > Non conosce davvero gli effetti inibitori dell'alcool, non così a fondo. Quello potrebbe essere un buon momento per scoprire quanti bicchieri è in grado di reggere prima di perdere ogni freno. O per mettere a nudo un altro lato di Christopher.

     
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    < Ehi, pensavo che anche i vampiri fossero solo un film, perciò non escluderei a priori che la morte esista ed abbia anche messo su famiglia >
    La voce di Sadie, la sola in quella stanza, si discosta così tanto dal chiacchiericcio costante e concitato della Centrale da calamitare la sua attenzione in modo quasi imbarazzante. Aveva bisogno di fermarsi un attimo e questo ancora prima che la Saltatrice decidesse di metterlo a parte del suo più grande segreto. Solo per qualche minuto può anche concedersi di respirare senza sospirare, di star seduto senza sentire la voglia o il dovere di essere da qualche altra parte. E perché no, persino discutere di qualcosa ai limiti della sua sfera di personale dignità. < In effetti potrebbe essere un lavoro come un altro. Alla fine della giornata niente ti vieta di tornare da qualcuno...se quel qualcuno accetta che per lavoro ammazzi gente e non ti pagano neanche. > La voce dello Sceriffo sembra essersi adagiata su una ruvida superficie senza alti e bassi, una tonalità che non è mai riuscito a mantenere a lungo attorno a quella ragazza. Quando deglutisce, il pomo d'Adamo descrive un lento percorso che segna la fine momentanea della discussione. Persino gli occhi vanno in basso, inquadrando per qualche istante il corvo in agitazione. Una fitta più forte di emicrania lo costringe ad abbassare le palpebre, sperando che non sia troppo evidente cosa stia nascondendo.
    Le ha detto che la sua presenza lo aiuta a fargli passare quel dannato mal di testa ed è la verità: non serve che sappia che ci sia comunque una bassa frequenza sempre costante ad accompagnarlo. Non sa che la sua coscienza sta cercando di abbattere il muro di amnesia nella sua testa, quello che riconoscerebbe la storia della Morte stranamente analoga a quel brutto anno scomparso dalla sua memoria.

    Il mento si solleva ed il volto divertito, a tratti ansioso, di Sadie Morgan torna nella sua visuale. Il dolore si attenua ed un sorriso è quello che riesce ancora una volta ad affiorare sul volto, storto e bieco di un'amarezza del tutto ingiustificata. < Ci sei andata vicino > peccato che lui si senta addosso molti più anni di quelli.
    Una battuta che non trova seguito, quella, fatta eccezione per una breve occhiata divertita al suo ennesimo tentativo di porre rimedio ad un'offesa che non è mai avvenuta. La linea delle sue labbra ha un modo sempre diverso di storcersi, che sia una smorfia o un sorriso, e Christopher sta iniziando a memorizzarli tutti. Dal primo all'ultimo. Ma è sul collo che si concentra, con un solco sulla fronte e le dita che trovano improvvisamente resistenza quando provano a stringersi attorno al collo della bottiglia di liquore. Per qualche ragione non è ai denti del vampiro che sta pensando, non subito, ma alle sue mani che accarezzano la preda come uno sguardo lusinghiero ad una succulenta bistecca. Gli rivolta lo stomaco e deve sforzarsi di non lasciarlo troppo a vedere, ancora una volta, per il bene di entrambi. < Puoi provare. > Jason Blake sarà una profonda, ben ancorata ma utile spina nel fianco per molto tempo. Di questo né sicuro, ma deve anche ammettere che potrebbe saperne qualcosa più di loro. Se non lui, i vampiri che frequenta.

    Non ride con lei ma sembra rilassarsi quando nota che scherzare su quell'argomento non è poi così difficile, anche per qualcuno che è appena finito in ospedale per quella storia. Immagina che una volta che si accetta l'esistenza di altri piani terreni, tutto assuma sfumature più tenui. Se ne farà una ragione anche lui: il mondo non è diverso ma lui ha un modo diverso di poterlo guardare. Scrolla le spalle e si prepara a vederla bere, senza darle una vera e propria risposta sulla quantità che dovrà versarsi. Resta piuttosto a guardare quanto deciderà lei stessa di mettere in quel bicchiere, riflettendo sulla risposta che ha estorto. Si, sapeva di Singapore, ma ha comunque avuto una risposta: non ha mai viaggiato. Non è neanche troppo strano che immagini Sadie a vivere la sua vita in una gabbia che si è costruita da sola e da cui non ha nemmeno intenzione di venire fuori. Spesso ci si adagia fin troppo bene su un letto di rovi o su una grossa macchia di fango, come quella città che tutti e due non si sono mai lasciati alle spalle.
    Allarga le narici quando trattiene il fiato per un attimo, aspettando di capire se il liquore appena bevuto tornerà a riversarsi fuori. Invece la Saltatrice fa persino un apprezzamento e lui recupera la bottiglia per versare da bere a sé stesso. < Okay...inizia a sembrare sempre di più una festa in spiaggia. > Si incomincia con le sbornie, si continua con segreti a sfondo sessuale e alla fine si è troppo ubriachi anche per provare a vincere il gioco. Lo Sceriffo ha i suoi dubbi che la loro partita prenderà quella piega ma la sottile ironia è il suo modo per lasciarle ad intendere che sta bene. Non fuggirà e la pistola tornerà ad impugnarla soltanto se sarà necessario. < Mi hai scoperto. Un paio di volte ma...solo una è stata intenzionale. E solo una è stata abbastanza anni fa da potermela perdonare. > Solleva il bicchiere ed ingurgita d'un fiato anche lui, serrando le labbra mentre aspetta che il sapore si attenui. Soprattutto quello dell'alcool. < Che pensavano di farci con questa bottiglia i tuoi nonni? > Niente male ma anche abbastanza forte. Sicuramente avranno avuto più stomaco di loro, degni delle loro generazioni. < Bene. > Si schiarisce la voce e deve pensarci abbastanza, con il volto sorretto in una mano ed il gomito contro lo schienale del divano. < Non ho mai...Non sono mai scappato di casa. > Piega le nocche per continuare a sostenere la tempia contro il pugno semichiuso, pensando a quando inizieranno a chiedersi qualcosa che muoiono davvero dalla voglia di sapere. < E non ho mai...pensato di andare a cercare qualcuno che abbia tentato di uccidermi. > Tipo questa.
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    Sadie Morgan

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    In quel momento entrambi stanno cercando di nascondere qualcosa. Christopher la propria emicrania, lei invece la tristezza che ha ormai messo radici profonde dentro di lei, e che torna a riemergere con prepotenza. Per lunghi istanti ha quegli stessi occhi di quando si sono incontrati, malinconici e sfuggenti. E quello sguardo dei vinti, di chi si è convinto di non avere scampo e possibilità. Perchè dubita fortemente che un'ipotetica incarnazione della Morte possa avere qualcuno da cui tornare, e di conseguenza, che possa essere diverso anche per lei. E' come tornare bruscamente alla realtà dopo una piacevole illusione. Ma in quella ci si vuole ancora crogiolare, ha ancora alcune ore a disposizione prima di tornare alla sua vecchia routine. Riesce a sorridere, a ridere persino, e a sentirsi sollevata per non averlo offeso in nessun modo. < Allora quasi dieci anni... > Le sfugge, dopo aver avuto conferma della sua età. Dieci anni è la differenza che intercorre tra loro, ma che a conti fatti non sembra avere davvero nessun reale impatto: non è qualcosa che la turba. < Dopo gli scrivo > A Jason. Perchè in quel momento significherebbe alzarsi per raggiungere il cellulare che ha lasciato sul tavolo, e abbandonare la comodità di quel divano. Non ne ha voglia. Non quando si ritrova con un bicchiere tra le mani ed è pronta a partecipare a un gioco che non ha mai fatto. O quando l'alcool ancora le brucia contro le labbra dopo il primo sorso, uno abbandonante, che la vedrà strizzare gli occhi.

    < Sono così le feste in spiaggia? > Neanche a quelle deve aver mai partecipato, altrimenti l'avrebbe saputo com'è avere una sbornia. Ma lo guarda bere con una certa soddisfazione, poi si sporge leggermente in avanti, senza smettere di fissarlo. < E hai fatto qualcosa di imbarazzante? > E' curiosa di scoprire come se l'è cavata lo Sceriffo da sbronzo. Forse sta cercando persino di immaginarlo, più giovane, più avventato. Chissà se era così serio e composto anche ai tempi, o se era diverso dall'uomo maturo che è adesso. Poi socchiude gli occhi verso la bottiglia, fissandola a lungo. < Mio nonno ogni tanto si concedeva qualche bicchiere. Ma non le comprava lui le bottiglie, erano regali. Sai, per quello che faceva al cimitero > Doveva essere stato un buon custode, lui. Non ne parla con affetto, ma neanche con freddezza. E' lo stesso tono che userebbe per descrivere un simpatico conoscente. < Erano brave persone. Severi ma giusti > Ma non affettuosi. Non lo dice, ma si intuisce dall'assenza di una particolare emotività che accompagna quella semplice affermazione. Manca anche di criticità, come se alla fine si fosse convinta di non meritarsi nulla di più di quello che le hanno dato: un tetto sopra la testa, di che sfamarsi, e la loro eredità. Si rigira il bicchiere tra le dita, lo sguardo basso. Forse persa in qualche ricordo passato, in grado di strapparle un solo sospiro. Solleva di nuovo lo sguardo ai suoi non ho mai, questa volta doppio. Resta immobile, poi allunga il bicchiere verso di lui, a chiedergli la dose che le spetta. E quando lo avrà colmo, questa volta opta per sorseggiarlo per evitare di farsi lacrimare di nuovo gli occhi. Ma beve solo una volta, non due. Poi si spinge con le spalle contro lo schienale e si pulisce brevemente le labbra premendoci contro il dorso della mano. E lo guarda timidamente attraverso le ciglia, le palpebre socchiuse. < Sono scappata di casa quando avevo otto anni. O forse nove > Confessa con un filo di voce. < Ricordo che stavo per rompermi l'osso del collo per raggiungere la credenza più in alto e prendere un pacco di biscotti. Credevo di non aver bisogno di altro se non di quelli e di un ombrello > Sfrega il pollice contro il bordo del bicchiere, in modo quasi compulsivo, senza riuscire del tutto a restare immobile. C'è il calore dell'alcool a lasciarle una striscia di fuoco lungo la gola, e lo stomaco. La lingua però inizia già ad essere più sciolta, la testa più leggera, ma non abbastanza da metterla in allarme. In fondo, per ora, sono solo due bicchieri. < No, non ho mai pensato di andare a cercare il vampiro. Non so neanche se voleva uccidermi davvero > Si acciglia appena, confusa da quell'esperienza. < Però... > Esita appena, con un'ombra di vergogna negli occhi. Lo sguardo si fionda sul corvo che, saltellato sul tavolino, li sta guardando alternativamente, forse cercando di capire cos'è che stanno combinando davvero. < All'inizio credevo fosse uno dei miei mostri, sai. Uno che mi somigliasse, ecco. > Con parvenze umane sicuramente. < Con due braccia per... > Si stringe appena nelle spalle, mordendosi la lingua prima di sembrare più patetica del solito. Perchè elemosinare un abbraccio deve esserlo per forza. < Con cui parlare > E chissà cosa avrebbe da dire in quel momento il mostricciattolo, che torna a saltellarle sul ginocchio solo per provare a infilare il becco nel suo bicchiere. Anche lui vuole bere, sebbene cinque dita pronte e gentili gli impediscono di farlo, strappandogli qualche versaccio indispettito. Ma lui non demorde, puntando i suoi occhietti bui sullo Sceriffo. E verso il suo bicchiere. < E non sono stata in grado di reagire quando... > Evita di toccarsi il collo, di nuovo. Ma forse ora, grazie all'alcool, ha il coraggio di osare. Vuole continuare il gioco e non esita a imitarlo. < Non ho mai baciato qualcuno > Ed è imbarazzante data la sua età: non è più una ragazzina. Ma quello è solo un modo per farlo bere, certa che invece che lui di esperienza ne abbia pure in abbondanza a riguardo. No, probabilmente non finiranno a farsi domande a sfondo sessuale, sarebbe come sparare sulla croce rossa vista la sua totale e assoluta mancanza di esperienza. < E non sono mai stata sposata > Ovvio anche quello, ma è di lui che vuole scoprire qualcosa a riguardo. Per quello che ne sa potrebbe anche esserlo e non portare la fede. E forse saperlo impegnato la costringerebbe a guardarlo in modo diverso. Ma deve essersi convinta che lui sia divorziato o vedovo. Che deve esserci stato qualcuno a provocargli quell'amarezza che ogni tanto intravede, in netta contraddizione con i suoi sorrisi. Solo che deve essersi pentita di aver aperto bocca, perchè guarda ovunque tranne nella sua direzione.



    Edited by MaiUnaGìoia - 19/10/2021, 18:19
     
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    In fondo non è poi tanto diverso da come la vede lui, quella sconfitta nello sguardo di Sadie Morgan. L'unica vera differenza è che lui non se ne addossa responsabilità o conseguenze, accettando cinicamente che è solo così che va il mondo: un lamento dopo l'altro, in una costante agonia che qualcuno può solo ringraziare di essere troppo sordo per sentire.
    Quando ha accettato di indossare quella divisa, sapeva che nel pacchetto ci sarebbe stata anche la certezza che non c'era poi molto altro di meglio ad aspettarlo a casa, se non l'attesa del giorno dopo. Una volta che apri il vaso di Pandora, lasciare la stanza non ha nessun sollievo da regalarti.
    Così mentre lei si abbandona a quella resa, lui si crogiola in qualche temporanea vittoria. Come quella che rappresenterà tenerla in vita contro ogni previsione, con un cacciatore molto più bravo di lui in circolazione e informazioni che fanno acqua da tutte le parti.
    < Dieci anni per cosa? > Ribatte quasi immediatamente, colto alla sprovvista. Come se quel commento fosse una strana risposta ai suoi pensieri, si chiede se la Saltatrice stia contando il tempo che ci metteranno a chiudere la faccenda. Si ricorda solo in un secondo momento che l'argomento era la sua età ma continua a sfuggirgli il significato di quell'affermazione: l'età della ragazza è una curiosità che non si legava affatto alla differenza che li separa. < Dieci anni per aver bisogno che qualcuno mi sistemi le gambe sul tavolino? > Ritaglia una curva nelle labbra scure, annuendo di rimando. Forse è meglio così, che scriva a Jason il più tardi possibile: ci sono risposte che non è sicuro di voler ancora sentire. Anche Christopher ha un bicchiere tra le mani e nessuna intenzione di abbandonarlo mettendo fine ai giochi.

    < Non credo siano tutte uguali e no, non sono così. > Ha lo sguardo ridotto ad una strana fessura contemplativa, mentre la sua mente sta ancora cercando di farsi un chiaro quadro di quella che è Sadie. Al contrario dell'altra, lo Sceriffo non fatica troppo ad immaginarla una manciata di anni prima, esattamente uguale ad ora. Triste, sconfitta, sola. Per fortuna quel gioco è fatto apposta per tenere occupati i pensieri con qualche idiozia di troppo e finisce per scrollare il capo, scacciando quell'immagine dalla testa. < Tanto per cominciare... c'è della sabbia. Molto più alcool di questo e parecchi anni di meno. > Scrolla le spalle, emette uno sbuffo che sembra esser stato sul punto di diventare una risata e poi tace. Sta in silenzio ma senza che anche questo duri troppo, troncato da un colpo di tosse che va a schiarire la gola. È forse imbarazzo? Improvvisamente la stanza in cui sono gli sembra molto interessante e gli occhi passano in rassegna l'arredo. < Forse...Una cosa o due. Non ricordo benissimo. > Ha voglia di riempirsi un bicchiere e venir meno alle regole. Quanto ci vuole perché quel liquore risalga con abbastanza nebbia da sciogliergli la lingua?

    I nonni di Sadie sono un altro interrogativo che merita una risposta. Sapevano di cosa era capace? L'accusavano dell'omicidio di suo padre? O peggio, sapevano cosa era stato in grado di fare lui e non avevano mai agito? Una parte di questi dubbi vengono fugati dalla risposta indiretta della ragazza, senza accusa ma anche senza gloria nella voce. Christopher si limita ad ascoltare, senza distogliere adesso lo sguardo dal profilo della Saltatrice. Alla fine del discorso, capisce che non è il momento giusto per scavare anche in quella parte della sua vita e così di nuovo schiarisce la voce e guarda la bottiglia che ha poggiato tra i loro piedi. < Beh, nessuno verrà a lasciartene una per Paul Serkin, temo. > Come nessuno ha pensato di partecipare al suo funerale.
    Tende il braccio a riempirle il bicchiere ed in effetti rimarrà con la bottiglia a mezz'aria, in attesa di capire se dovrà versare ancora ma soprattutto per quale delle due affermazioni sta bevendo. Non sa nemmeno come è riuscito a trattenersi dal tirare un lungo sospiro di sollievo, quando capisce che si tratti della prima. Dischiude però le labbra in un respiro più profondo, versando da bere anche a sé stesso e buttando giù un lungo sorso quasi contemporaneamente a Sadie. < Undici anni, per tre giorni. E non avevo pensato nemmeno ai biscotti. Avevo solo la carta di mia madre e il numero per usarla. > Di sicuro è stato più furbo ma anche più avventato. Ha imparato presto che i contanti sono l'unico modo per non essere rintracciati e che difficilmente qualcuno accetta una carta di credito da un ragazzino. Su una cosa ha ragione lei: non è sempre stato così, non è sempre stato un poliziotto.
    Forse le regole di quel gioco vogliono che quel tipo di cose non succeda, come mentire per poter bere un bicchiere in più. Però la testa ne beneficia quasi immediatamente ed inizia a relegare la sua coscienza in un angolo remoto. Quello dal quale il filtro tra discrezione e istinto si assottiglia e gli permette di girarsi completamente verso di lei, con il bicchiere sorretto tra due dita ed il braccio ancora sopra lo schienale. < ...forse non voleva ma lo avrebbe fatto comunque. Se le leggende dicono qualcosa di vero allora non sanno controllarsi, quindi che differenza fa? > Non deve essergli piaciuta troppo quell'indulgenza, quel leggerissimo velo di dubbio che ha scorto sulla sua faccia. Come non gli piace affatto la piega che sta prendendo quel discorso, seppure non capisca dove voglia arrivare. Parla di braccia pronte a soffocarla, a farle del male, magari intrappolarla e nella sua voce cosa c'è? Sembra quasi malinconia. < Perché dovresti voler parlare con loro? Sono solo bestie, Sadie, anche se rispondono ai tuoi ordini. Ci sono le persone con cui parlare... C'è Jason > C'è lui, anche se non lo dice.
    Il collo della Saltatrice non mostra più nessun segno di quella ferita ma capisce immediatamente il riferimento, perché ogni volta che la guarda non può fare a meno di controllare che non siano spuntati fuori due buchi all'improvviso: non lo hanno fatto ed a questo punto dubita che succederà in futuro. < Il panico gioca brutti scherzi e probabilmente non saresti riuscita comunque a fare nulla, contro di lui. Mi chiedo, però, lui che stava facendo? > Una brutta occhiata finisce sul corvo, scovandolo in procinto di tuffarsi anche nel proprio di bicchiere. Ritrae la mano in tempo e scrolla una gamba per farlo volare via, mugugnando qualcosa sulle cornacchie. < Non si suppone voglia proteggerti? > Sta parlando troppo, in un modo che non avrebbe mai osato. Quasi confidenziale, con un tono basso ma deciso che rivolge direttamente al pennuto.
    Ancora una volta Sadie sa come distrarlo e lo farà a prescindere dal seguito di quella conversazione, perché prima o poi continueranno il gioco e il "non ho mai" in questione è davvero l'ultimo che si aspettava di sentire. Uno sceriffo ed una sconosciuta sul divano e stanno davvero parlando di baci e matrimonio?
    Ha un lieve attimo di esitazione quando cerca di capire se stia scherzando, perché in quel caso dovrà decidersi a stendere del tutto il sorriso che per ora rimane fermo a metà. Eppure lei rimane seria e rincara la dose evitando di guardarlo. < Mh, non credo che faccia per me...il matrimonio. > Nessun anello nascosto né fidanzate ad aspettarlo, però si versa da bere e deve essere colpa del resto. Di quel bacio che si, ha già dato, più di uno, e nessuno è stato in grado di rimanere nella sua memoria più a lungo di quanto ci sia voluto a lasciarsi alle spalle chi glielo abbia dato. Beve d'un fiato e chiude gli occhi. Scrolla la testa e sospira. < Non ho mai...fatto una cosa del genere con una sconosciuta prima d'ora > non sorride ma è chiaro sia una frase autoironica. < E non ho mai infranto una promessa > Abbandona la bottiglia perché questo è il turno di Sadie, su cui ha ancora gli occhi puntati. Sta pensando alla promessa che ha fatto a lei, di scoprire come aiutarla. Di non voltarle le spalle come sembra abbia fatto tutta la sua famiglia, in un modo o nell'altro. < Sadie...> ... < Dopo queste quaranta ore, non me ne andrò. Non per davvero. > Ormai è tardi per fingere di non averla mai conosciuta e tornare a vivere la sua vita come prima.

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    Quanto tempo è già passato? Ha smesso di contare i minuti, o di sentire la pressione di un conto alla rovescia che c'è solo nella sua mente. Ma una cosa è certa, non ha mai passato così tanto tempo in compagnia di un'altra anima viva - che non sia il corvo - a parlare. Neanche con Jason. Non è mai stata concentrata su qualcun altro così a lungo, senza essere inghiottita dalle ombre che solo lei vede. Ci sono sempre quelle, sono ovunque. Sono tra loro. Ma la fisionomia scura dello Sceriffo riesce a essere un faro catalizzatore che le impedisce di smarrirsi nelle sue visioni, quelle che affliggono e tormentano ogni Saltatore. Ogni tanto lo sembra distratta, con lo sguardo che vaga a contemplare apparentemente il nulla. Per poi tornare a inchiodarsi puntualmente su Christopher che la richiama all'attenzione con la sua voce.
    < No. Ma no... > E quasi sbuffa una mezza risata alla conclusione a cui lui è arrivato. < Io ho ventisette anni. Stavo riflettendo solo sulla differenza di età > Specifica, pianissimo. Riflessioni che non hanno portato a nulla, perchè non aggiunge nient'altro a riguardo. Si accerta solo che lui non abbia un'aria offesa, sempre sensibile a come lui possa reagire a qualsiasi affermazione le esca dalla bocca. Dovrebbe essere più cauta, attenta. Ma è più forte la tentazione di mettersi in gioco, di tirare fuori tutto dopo aver avuto il coraggio di mettere a nudo il suo più atroce segreto. Ma più che raccontarsi, desidera davvero conoscerlo. E imparare a decifrare ogni sua smorfia o cosa si nasconde dietro i suoi mezzi sorrisi. < Immagino ci sia anche una chitarra, musica e canti. Un falò. Lo sciabordìo delle onde. Risate. E poi vedere l'alba che sorge... > Deve essere diverso vederla da una spiaggia, dopo una notte di giochi e divertimento. Sospira, rapita da quella visione da film. Con la fantasia sarà stata la protagonista di mille feste, invece a conti fatti non ha mai avuto il coraggio di rendere concreto quel semplice desiderio. < Ah, non lo ricordi > E persino alle proprie stesse orecchie il proprio timbro vibra di delusione. Non insiste per scoprire qualche dettaglio in più, risparmiandogli qualche altro momento di imbarazzo.

    < No, niente bottiglie per me. Non sono brava come mio nonno. Una donna mi ha persino rimproverata per non aver lucidato la tomba di Marie Laveau. Ma si era alzato un forte vento e non sapevo proprio come fare... > Si chiude nelle spalle in una posa difensiva, perchè ancora ricorda con estrema esattezza le sue parole sferzanti: neanche una frusta sarebbe stata più impietosa e precisa. < C'era un'anziana che mi regalava il the. Lo faceva lei, ogni singola bustina. Poi la settimana scorsa ho dovuto seppellire anche lei > Scuote la testa con rammarico, ormai abituata ad avere più giornate storte che buone, accondiscendente con una Karma che non ne vuole sapere di funzionare nel verso giusto nei suoi riguardi. Ma lo guarda bere con stupore, poi le sfugge l'inevitabile domanda: < Perchè sei scappato di casa? > Per quanto la riguarda invece, è superfluo spiegare i motivi della propria fuga, facilmente intuibili. < Io sono durata solo un giorno. Poi un poliziotto mi ha trovata e mi ha riportata indietro. Chissà dove saremmo a quest'ora se fossimo riusciti a farla franca. Te lo sei mai chiesto? > Anche se rimuginarci, a quel punto, non avrebbe alcun senso. Non che abbia modo di fare molte ipotesi, dopo, perchè lo Sceriffo la incalza e porta la conversazione su un altro binario, dove i pensieri deragliano con una facilità sorprendente.

    Ed è a quel punto che lo guarda a lungo, con strana intensità. Con un ombroso velo di malinconia negli occhi e gli angoli della bocca rivolti verso il basso. < Anche io potrei essere un pericolo. Potrei non essere in grado di controllarmi, magari in un eccesso di rabbia. E allora che differenza ci sarebbe tra me e un vampiro...? > Neanche a lei piace la piega che sta prendendo quel discorso, perchè ha implicazioni spiacevoli. Che le fanno venire voglia di svuotare l'intera bottiglia. Nasconde la paura dietro la palpebre abbassate, perchè a spaventarla è la propria stessa rabbia. A volte la sente, a macerare negli strati più profondi del proprio strato d'animo, a malapena trattenute da catene che sente così fragili e sul punto di spezzarsi. < A volte sono così arrabbiata, sai... > Quando ce l'ha con il mondo che la circonda. Per le speranze disattese, per le delusioni. O per la sofferenza emotiva che non allenta mai del tutto la sua presa, mentre quella fisica ancora non l'ha mai del tutto dimenticata. Si nasconde bene, la rabbia, dietro le apparenze fragili e i suoi sguardi sfuggenti. < Davvero sono solo bestie? > Sta parlando del corvo, dei suoi mostri. Un corvo che, scacciato pure da Christopher, svolazza verso di lei gracchiando con insistenza. Sembra quasi esserci una nota di supplica nel suo versaccio fastidioso. E allora gli permette di piombare sulla sua gamba, e gli allunga cinque dita addosso, accarezzandolo piano. < Chissà cosa sta cercando di dirci adesso. Non sono stupidi, sai? Non lo sappiamo davvero come vivono nel loro mondo. E non mi hanno mai fatto male. > Versa un goccetto nel proprio bicchiere, poi lo offre al mostricciattolo che si fionda con il becco. Ma non deve affatto piacergli perchè si ritrae di scatto e inizia a fare versi strazianti, agitando con forza il becco a destra e sinistra. Poi spicca il volo, ondeggia in aria tutto storto prima di andare a finire contro una parete. Lei non si preoccupa poi troppo, non è la prima volta che si schianta da qualche parte, non sarà neanche l'ultima. < Io posso vederlo com'è realmente. E sicuramente non ti piacerebbe. Non ha nemmeno le ali, e non deve essere facile per lui muoversi in quel corpicino che non è neanche un terzo di quanto è grande realmente. Cosa poteva fare contro un vampiro? Ci sono voluti cinque uomini per tirarlo via da me > Solleva piano lo sguardo su di lui, ma non riesce a guardarlo negli occhi: ferma l'attenzione ai confini del suo mento. < Ma ha provato ad avvertirmi. Solo che non gli ho dato retta. E lui c'è stato nei momenti peggiori. E' venuto da me quando stavo più male, ha lasciato il suo mondo per restare con me. E non deve essere facile per lui. E sono certa che se avesse avuto due braccia mi avrebbe.... > Esita, con un groppo in gola. < ... Abbracciata > Sfiata, infine, mettendo a nudo un desiderio tanto semplice, un bisogno così banale che in molti danno per scontato. < E ora l'unico abbraccio che conosco è quello del vampiro... > Aggiunge con un filo di voce amaro, a malapena udibile. Non che il resto sia in grado di rallegrarla. Quando scopre che lo Sceriffo non è tipo da matrimonio, chissà perchè lei sprofonda nella pena. < Capisco > A quel punto deve essersi pentita pure di averglielo chiesto. Poi riempie lentamente di nuovo il proprio bicchiere. Questa volta sino all'orlo. < Nemmeno io ho mai fatto una cosa del genere con uno sconosciuto > Giocare con l'alcool e raccontarsi così intimamente. < Ma ho infranto più di una promessa fatta a me stessa. Come quella di non raccontare mai a nessuno quello che avevo fatto. O di fidarmi di qualcuno... > E allora beve, dopo aver sollevato il bicchiere in una sorta di mezzo e tacito brindisi. Lei, fortunata com'è, deve essere sicuramente una da sbronza triste. Ci sono tutti i presupposti. E poi finalmente lo guarda dritto negli occhi, quando le ribadisce la sua promessa. Ma chiaramente non gli crede. Non lo dice apertamente, lo fa il suo sguardo triste, privo di qualsiasi pretesa o recriminazione. < Ti assolvo dal tuo incarico, Sceriffo > Biascica invece, sollevando il bicchiere a disegnare una croce immaginaria, come se lo stesse benedicendo. Un gesto quello, dettato dall'alcool. < Ma non hai ancora vinto. So io come farti bere ancora > Che suona quasi come una minaccia, perchè almeno in quello non si perde d'animo < Non ho mai... > Sbatte le palpebre e sente il bisogno di distendersi. Di rannicchiarsi sul divano in una posizione fetale e familiare. La testa sul bracciolo, un cuscino sotto il braccio e il bicchiere stretto tra le dita, guarda Christopher da una nuova e storta prospettiva. < Non ho mai festeggiato il mio compleanno > Gli lancia un'occhiata di sfida. Lui non sembra tipo da torta e candeline, ma è certa che qualcuno lo abbia festeggiato in un modo o nell'altro. < Sino all'orlo... > Deve riempirsi il bicchiere.
     
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    Christopher irrigidisce la mandibola mentre riflette sulle implicazioni di quella considerazione e scopre che il sapore dell'alcol ormai gli impasta tutto il palato. E come se non bastasse, gli rimanda una sensazione che sa essere fasulla ma che gli piace ugualmente: familiarità.
    Seduto su quel divano, con la voce di Sadie nelle orecchie, può quasi credere di essere in compagnia di qualcuno da chiamare amico e quel pensiero sottolinea il fatto che nella sua testa non stia guardando quella donna come guarderebbe qualunque altro. Neanche un'amica. Perchè non la conosce, non sa se abbia un secondo nome o quale sia il suo cibo preferito, ma sa che se in quel momento dovesse entrare un succhiasangue dalla finestra...lascerebbe che morda lui. E il suo lavoro non ha nulla a che fare con questo, nè la sua fibra morale.
    Tanto meno ha a che vedere con quel nugolo di ombre scure che soltanto la Saltatrice può vedere. Se pure Christopher l'abbia vista fissare il nulla, avrà immaginato che ci sia una fessura che porti dritti dritti a Machu Picchu da quel salotto. Nulla di più ed è già sufficiente a costringerlo a non farci caso, per non farsi ulteriori domande. < ... > Il silenzio si prolunga per tutto il tempo che ci è voluto all'altra per spiegare l'equivoco sull'età, ed anche oltre, ma non è contrariato. Piuttosto rimugina sul peso che possa avere quella differenza di età, senza trovarne alcuno. Cosa passa per la testa di Sadie Morgan? < Trentasei > decide così di rettificare, espirando quel nugolo di indecisione che lo aveva tenuto zitto sino a quel momento, dubbioso su quale fosse la cosa giusta da dire. Anche perchè subito dopo può tenersi occupato macinando un verso divertito tra la barba, mentre una mano passa a grattare il mento. La visione di una chitarra, balli e l'alba che sorge è piuttosto romantica, deve ammetterlo, ma gli occhi scuri le rimandano un luccicchio disilluso. < Diciamo piuttosto radio, schiamazzi e la testa così pesante che finisci per riaprire gli occhi ben dopo il sorgere del sole. Ma... > L'espressione delusa di Sadie gli piomba addosso come un macigno, spingendolo quasi a ritrattare. Sa che quella sprofonda facilmente nelle sue emozioni, soprattutto quelle negative, e per un istante si chiede se non sia meglio troncare del tutto ogni discorso e non rischiare l'osso del collo. Stare lì in un cauto silenzio potrebbe essere la mossa giusta, finchè non saranno abbastanza brilli da addormentarsi.
    Si dà dell'idiota subito dopo e raddrizza la schiena. < Okay una...volta > tossisce brevemente, abbandonando il bicchierino per intrecciare le dita ad altezza delle ginocchia. Si sostiene sui gomiti, sporto verso il tavolino ma senza accennare ad alzarsi. < Potrei essermi dichiarato alla mia migliore amica...troppo rumorosamente. In mezzo ad una marea di gente. Avevo tredici anni e lei non mi ha mai più parlato, anche perchè credo di averle vomitato sulle scarpe un secondo dopo. > Quando riesce a finire il discorso senza incepparsi troppo, sospira. Non gli è mai facile parlare così a lungo, di cose così futili, ma oggi sta superando più di un limite personale.

    La schiena si adagia più comoda per ascoltare il seguito, così anche Sadie torna nel suo campo visivo. Lei e qualunque sia l'espressione che ha ora sul volto. E' disposto ad accettare anche la delusione, invece trova qualcosa di peggio, a metà tra lo sconforto e la solitudine che oramai è facile associarle. Gli tocca anche battersi una mano sul petto quando la saliva finisce di traverso: è di Zoe che sta parlando.
    Gli occhi rifuggono la Saltatrice, sperando che così facendo possa anche nasconderle l'irritazione che per un attimo si annida tra i tratti scuri del proprio volto. Un sentimento che non la riguarda. < E' una tomba, ci pensa il vento a lucidarla. > Dannata donna. < ... > Gli muore sul nascere un'ammissione pericolosa, ovvero che già aveva sentito di quella storia, perchè sarebbe equivalso ad ammettere di aver parlato di lei a qualcun altro. Sa iddio cosa avrebbe potuto pensare: magari che abbia raccontato a qualcuno dei suoi poteri. Si trattiene in tempo per sentire il resto della storia e perlomeno può rilassarsi sulla certezza di non avere nessuna vecchietta tra i suoi parenti, soprattutto morta. Il mento si solleva a scrutarla: il discorso ha deragliato su un binario imprevisto e lui corruga la fronte. < Mi dispiace, Sadie > spontaneo ma non troppo sicuro di voler assecondare quella convinzione che tutto ciò che lei abbia sia una vecchietta sottoterra e un corvo spelacchiato. Meglio saltare su un altro treno finchè possibile, così si aggancia immediatamente alla domanda che segue. < Perchè i miei continuavano a litigare. Lo hanno fatto per anni. A mia madre non è mai andata giù che lui abbia accettato il lavoro da Sceriffo in questa città, nel nostro quartiere, ma onestamente...io lo capisco. > Deve farlo, o non ha senso che indossi quella divisa. < Se c'è almeno qualcuno a cui interessa, allora è giusto che lo faccia. Ce ne sono già troppi a cui non frega un cazzo. >
    Quella città è piena di gente che volterebbe le spalle al proprio vicino di casa, se lo vedesse in difficoltà. Può biasimare la paura, la povertà, ma non avrebbe potuto biasimare sè stesso se si fosse lasciato fermare da qualcosa del genere. Apre le labbra per continuare ma poi scrolla solo le spalle, senza concederle una risposta. Se fossero riusciti a farla franca sarebbero stati solo in un posto, adesso: sotto terra, assieme alla signora del tè. Ma non se la sente di condividere con lei anche quel pensiero.

    Poi quel treno rischia di deragliare direttamente. Con un moto improvviso si gira verso di lei, ma nonostante sembri sul punto di interromperla non lo fa. Aspetta che lei abbia finito e approfitta di ogni sua parola per montare dentro un fastidio che gli ricorda pericolosamente quello provato in ospedale, quando Jason Blake ha cercato di vendergli una storia di vampiri belli e dal buon animo.
    Sentire Sadie paragonarsi a loro gli fa uno strano e similare effetto che gli agita quel poco di cibo messo sullo stomaco, rischiando di non digerirlo affatto e per colpa di un unico concetto. < Tu non sei come loro > Il vetro sbatte contro il tavolino quando vi poggia il bicchierino, con più foga di quella calcolata. Poi allunga le dita e cerca di prendere anche il suo, togliendoglielo dalle mani. Se ci sarà riuscito, sarà anche un po' più vicino, perchè quelli son tutti gesti volti a chiederle la sua massima attenzione. < Mi hai sentito? > ed anche il bicchiere di Sadie finirà per tintinnare lì vicino, se mai sarà riuscito a recuperarlo.
    < Tutti...siamo preda delle nostre emozioni. Ma indovina un po': c'è sempre una causa. Hai perso il controllo quando tuo padre ha fatto per l'ennesima volta quello che ha fatto e va bene così, avrei perso la testa anche io, Sadie. Non ti rende un pericolo: il pericolo è intorno a noi. Dannazione. > Una smorfia amara, si prende una pausa in cui guarda il resto della stanza. Poi torna su di lei dopo aver chiaramente riordinato i pensieri. < Dimmi che abbia avuto un solo motivo per attaccarti come ha fatto, uno solo che non fosse una fame incontrollabile e più forte di lui, e ti dirò che allora non c'è nessuna differenza tra noi e loro. > Serra le labbra ed emette un sospiro, sperando che il liquore non faccia da deterrente per un malumore che si è sempre annidato sul fondo della loro conversazione. Non causato da lei ma di cui lei è il fulcro, almeno oggi, più di tutto il resto.
    Riesce a calmarsi per guardare il corvo, intento a starnazzare in una richiesta che Christopher non si è minimamente impegnato a capire. Nè lo farà adesso. Alza lo sguardo su Sadie: le sta dando il beneficio del dubbio. < Non sto dicendo che sono stupidi...sto dicendo che non sono umani. > E questo cosa vorrebbe dire? Nemmeno lui sa spiegarlo e la frase rimane in sospeso, presto sovrastata dalla spiegazione di come quel corvo non sia proprio la migliore guardia del corpo in cui si possa sperare.
    Una spalla torna ad appoggiarsi al divano e ancora osserva la fisionomia dell'animale, prima di rivolgersi alla sua padrona. < ... > Tace. Gli mancano troppe informazioni per continuare le sue congetture sull'utilità di Alistair nella vita della Saltatrice e gli hanno sempre insegnato che parlare, senza sapere, è da idioti. Cosa che già si è ripetuto troppo spesso in quella giornata. < Non è vero > Uno sbuffo, un sospiro e le dita raccolgono di nuovo il bicchierino. Il proprio. Già se lo riempie, con tutta l'intenzione di berne un paio anche senza che il gioco lo richieda. Si è stufato di stare alle regole anche in quell'occasione, quando ogni legge sembra sovvertita all'improbabile. E così liquore sia. < Non è vero, conosci anche il mio. > L'ha abbracciata, quando credeva di doverla proteggere da uno dei suoi mostri. Istintivamente, in una stretta poco delicata, ma lo ha fatto e se lo ricorda ancora. Forse per lei non è tale da potersi chiamare a quel modo ma nemmeno il vampiro deve averle riservato un trattamento di piacere, tra le sue braccia.
    Ha le labbra sul bordo del bicchiere ma fa caso al disappunto di Sadie, quasi pietoso. < Che c'è, ti dispiace? > che lui non sia tipo da matrimoni. Ovviamente non sa che cosa le passi per la testa e intuisce che sia semplice commiserazione per la sua vita. Un qualcosa che non lo disturba, trascinandolo piuttosto nell'autoironia. < Non preoccuparti, meglio per loro. Ti ho detto che capivo mio padre... > ed a questo punto non vede ragione di nasconderle nulla, anche un pensiero così personale come quello. Gli sembra abbiano scoperto già abbastanza carte sul tavolo. < Ma ho capito anche mia madre, dopo. L'ho capito quando lui è morto e per lei è stato solo l'avverarsi di un incubo che probabilmente faceva ogni notte, da quando si erano sposati. Perchè dovrei fare questo a qualcuno? > Ora si che butta giù quel bicchierino, senza nessuna intenzione di fermarsi. Anzi, più vanno avanti e più sente il bisogno di attaccarsi direttamente alla bottiglia. < Te ne stai pentendo? > sorride a metà, come sempre, ma senza sollevare la testa dal bicchiere che sta nuovamente riempiendo.
    Un attimo e torna a poggiarlo con un lungo respiro, stanco ed arrendevole. < Te l'ho già detto: nessuno mi costringe a fare niente che io non voglia fare. Nè può convincermi a non fare qualcosa che voglio. > Nessuno, nemmeno lei. Non ancora. Poi quella mette da parte le assoluzioni e continua il gioco. La osserva stranito ma neanche troppo: ha smesso presto di impressionarlo la strana vita che ha condotto la ragazza. Beve in silenzio, assecondando l'idea che qualche compleanno deve averlo di sicuro festeggiato. Poi tocca a lui.
    < Non ho mai...> < ... > Rimane così a lungo a fissare la bottiglia che dimentica di dover pensare a qualcosa da dire. Sadie è riversa per metà sul divano e lui abbandona del tutto il liquore. Si è rotto di giocare, troppo stanco per fingere di non esserlo.
    Una mano si allunga a recuperare la sua, cerca di rimetterla a sedere per circondarla con un solo braccio. Non la guarda e per tutto il tempo, lo sguardo è quello sfuggente di chi sta cercando di far passare per naturale qualcosa che non lo è affatto. Come il volerla poggiare contro di sè, mentre si sistema supino sul bracciolo opposto. Se riesce a stendersi lui, può farle abbastanza spazio perchè anche Sadie torni a mettersi comoda. Ma non nell'abbraccio di una delle sue bestie: nel suo, altrettanto scuro come il manto di Alistair. Non dirà nulla in ogni caso, preferendo imprimere più significato nei gesti che in altre inutili parole. Le lascerebbe comunque libertà di scansarsi o assecondarlo, voltarsi a guardarlo o dargli la schiena. Non gli interessa: vuol solo che non siano le mani di un vampiro le più vicine che ricorda.
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    Sadie Morgan

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    Gli piace quel lato dello Sceriffo. Quando non sembra così rigido, così preoccupato che qualcosa possa entrare da una delle finestre e saltare loro addosso. Con la bottiglia in mano invece della pistola, e disposto a sbottonarsi più di quanto credeva di essere in grado di fare, con quei suoi mezzi sorrisi che non arrivano mai ad essere del tutto larghi. Deve dargliene atto: è più paziente di quanto potesse immaginare. Stoico e determinato come nessun altro di sua conoscenza. E disilluso abbastanza da stropicciare qualsiasi visione romantica lei sia stata in grado di partorire. Tant'è che la Saltatrice si ritrova a cambiare idea sulle feste in spiaggia alla versione di Christopher: non è più così entusiasta. E mentre ancora si crogiola nella delusione, lui la sorprende rivelandole un epilogo poco dignitoso del suo passato da tredicenne. < No, non ci credo > Lo sta guardando incredula, poi si copre gli occhi con i palmi delle mani, in imbarazzo per lui. < Davvero hai... > E anche la bocca, perchè sta cercando di sopprimere un'altra risata spontanea. < Scusa, non dovrei ridere ma... > Proprio non ce la fa a trattenersi. < Non lo dico a nessuno, giuro > Gli promette, quando sarà tornata a respirare normalmente. < Se ti vomitassi sulle scarpe cambierei Stato... > Mormora, guardando con sospetto in direzione della bottiglia. Forse dovrebbe rivalutare la possibilità di prendersi una sbornia per non fare la fine di un Christopher adolescente. < Credo sia stato quello a... > Esita, cercando le parole adatte per non offenderlo. < Uccidere precocemente la tua vena di romanticismo? > Gli sta dando del poco romantico? Si, esatto. Ma quel tredicenne lo era stato invece, con il coraggio forse dettato dall'alcool, incurante della folla. Romantico, avventato e impulsivo. L'opposto dello Sceriffo che ha davanti, controllato e tutto d'un pezzo. Ma lei si ritrova pure a invidiare - con un piccolo sospiro - quella che era stata la sua amica dell'epoca, pur immaginandola con le scarpe lerce.

    Dopo non ha più di che ridere, può solo autocompatirsi per quello che è stata ed è la sua vita. Priva di esperienze intense ed entusiasmanti da poter raccontare, chiusa in una routine monotona e grigia. Vorrebbe raccontargli qualcosa di bello per farlo ridere. Potrebbe inventarsi qualcosa piuttosto che vederlo strozzarsi e fargli increspare tutta la faccia. < Stai bene? > Premurosa, è pure pronta a dargli qualche sonora pacca dietro la schiena quando lo sente tossire. < Dispiace a me. Credo di non essere brava a giocare > Perchè i giochi dovrebbero far divertire, non mettere a nudo strascichi di malumore e di tragedia. E quando scopre i retroscena della sua famiglia si ammutolisce, con una ruga profonda a solcarle la fronte. < Christopher... > ... < Sceriffo Moore > E' in difficoltà. Perchè chiamarlo per nome potrebbe suonare troppo confidenziale, invece la seconda opzione risulta troppo formale per la situazione in cui si trovano. E' strano, ma non dovrebbe poi davvero stupirsene: lo è dal loro primo incontro. < Credi che potrei fare qualcosa di buono con quello che so fare? Con i miei Mostri. > Le mani le tremano appena. Di paura. Perchè significherebbe esporsi in un modo che non ha mai fatto. Ma quella è una paura che nasconde anche il desiderio di cambiare, magari di essere di aiuto come non ha mai pensato di poter fare. Sono le sue affermazioni a smuovere qualcosa dentro di lei, a cui sta cercando timidamente di dare voce. E lo fa anche quando le sfila dalle dita il bicchiere e la costringe a fissarlo, a prestargli la massima e totale attenzione.
    E allora, immobile, lei lo guarda, con gli occhi leggermente sgranati. Mentre cerca di convincerla che non è come gli altri. < Sono una Saltatrice > Qualunque cosa significa o implichi esserlo. Le sue spalle si distendono con un certo sollievo dopo aver accumulato una tensione in eccesso. Ed è merito dello Sceriffo che la solleva - ancora una volta - da qualsiasi colpa. < Io mi sento come un pezzo di puzzle sbagliato che non si incastra da nessuna parte > Poi non ha più voce per aggiungere altro. Sul vampiro non ha da dirgli davvero nulla, e neanche da aggiungere molto poi sul mostriciattolo alle prese con il suo primo assaggio di un alcool troppo forte. E' stramazzato al suolo, che sta spazzando agitando le ali scompostamente. Ha ripreso tra le dita il bicchiere, ma forse sarebbe stato meglio appropriarsi direttamente della bottiglia. Ha uno sguardo smarrito, confuso, di chi sta pensando troppo e rischia il principio di un'emicrania. < E' vero... > Christopher l'ha già stretta tra le braccia, ma stava facendo solo il suo dovere. L'aveva dimenticato, soverchiata da quello che è accaduto in seguito. C'è l'ombra di un sorriso mentre finalmente ricorda quell'esatto momento, ed è pure troppo facile ritrovare le sensazioni che le aveva suscitato. Sulla scia di quelle, le verrebbe pure spontaneo confessargli di essere dispiaciuta perchè...

    No, deve stare zitta. Mordersi la lingua. Anche se l'alcool la sta istigando alla sincerità, è ancora abbastanza lucida da capire che la verità che avrebbe da dirgli sarebbe scomoda e imbarazzante. Per quello non fiata, e se ne sta zitta, con una stretta al cuore, mentre ascolta in un torbido silenzio i motivi per cui lui si rifiuta di legarsi più profondamente a qualcuno. Meglio bere un altro sorso e rannicchiarsi sul divano, ad aspettare la fatidica sbornia e a come vincere quel gioco senza umiliarsi troppo. Solo che non si aspetta l'improvvisa stretta delle sue dita, ed è troppo imbambolata e sorpresa per reagire quando la circonda con un braccio. I suoi occhi però sembrano essersi fatti enormi per l'incredulità mentre lui si stende, trascinandosela dietro. Nonostante un momento di rigidezza iniziale, che dura una frazione di secondo, la Saltatrice non sembra affatto contrariata dal ritrovarsi a stringersi contro il suo petto. E le viene naturale, nonostante tutto, spingere il viso nell'incavo del suo collo mentre si sistema comodamente. Solo che ha smesso di respirare e il suo cuore è andato in fibrillazione, ad un ritmo tachicardico che non ha nulla a che fare con la paura. Ha chiuso gli occhi, perchè non vuole scoprire sul suo volto una possibile riluttanza. Non voleva elemosinare nessun abbraccio, ma è certa di averlo impietosito. E nonostante tutto è abbastanza egoista da approfittare del momento per goderselo come se fosse giusto e meritato. < Com'è bello... > Sfiata, esalando anche il respiro che aveva trattenuto. E subito dopo, gli sfiora il collo con un sospiro diverso dai suoi soliti, uno che sa di beatudine. Gli ha appoggiato pianissimo la mano sul petto, con la stessa delicatezza di chi teme di fargli male. O di non essere degna di toccarlo. E trema leggermente per il semplice piacere di toccarlo, per l'attraente calore che le formicola sottopelle, più bruciante dell'alcool che ha ingerito. E poi vorrebbe starsene così per sempre, mentre chiude un poco le dita contro la sua camicia, come se temesse di vedersi sfilare via dalle mani un bel sogno. Un sogno che lo sa, non durerà a lungo. Un minuto. Due. Arriva a tre di immobilità. Durante la quale respira profondamente il suo odore e si crogiola nel suo tepore. Persino le ombre sono scomparse, e i passi che sempre sente, i loro respiri, la raggiungono ovattati, distanti, con gli incubi che sembrano così lontani e poco importanti. < Tuo padre poteva morire anche per un incidente d'auto. O sopravvivere sino alla pensione. > Mormora, d'improvviso. < E sono sicura che quando non litigavano, erano felici. Che hanno avuto momenti belli e momenti brutti. E poi hanno avuto te > Scivola verso l'alto con le dita, piano piano, sino ad allungare i polpastrelli verso la sua barba, cedendo al desiderio di sfiorargliela. Con un movimento leggero, come le ali di una farfalla, prima di tornare ad agiarle nuovamente contro il suo petto. In un pugno chiuso. < Il lavoro che fai è pericoloso. Ma l'hai detto tu stesso, la minaccia è tutta attorno a noi. E proprio per questo dovresti avere qualcuno da cui tornare a casa che possa farti sorridere dopo una brutta giornata. Non te ne privare, concediti anche solo una possibilità. Non deve per forza andare tutto male... > Ma il suo bisbiglio si spezza, e deve deglutire un paio di volte prima di aggiungere un'ultima cosa: < Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente equivale a non vivere. Ma devi tentare, perchè se non ha mai tentato non ha mai vissuto > Cita, tirando fuori quel consiglio dall'unica figura paterna che abbia mai voluto prendere in considerazione: quella tirata fuori da una pellicola. < Sono sicura che c'è qualcuno la fuori che voglia correre questo rischio insieme a te... > Conclude, pianissimo. Una pure sotto il naso in realtà, ma lei inghiotte un groppo amaro e si accontenta di quell'abbraccio. Uno che sicuramente non dimenticherà così facilmente.



    Edited by MaiUnaGìoia - 27/10/2021, 02:29
     
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    Sarà sempre così con lei, lo capisce in quel momento. Una lotta continua tra quello che merita di sapere e quello che non c'è alcun bisogno che sappia. Mentire? Christopher non è così ipocrita da non sapere che è esattamente quello che sta facendo, e che continuerà a fare, probabilmente anche quando le possibilità che a lei potrebbe non piacere saranno altissime.
    Maggiore la colpa, più grande il segreto.
    Questa volta deve solo lasciare che lo sguardo si prolunghi abbastanza da permettergli di buttar giù il boccone, continuare a sorridere e scrollare le spalle. < Probabile... > Sa che il suo romanticismo, se mai sia esistito, è morto assieme a tutto quello che poteva renderlo un uomo migliore. Ogni chiodo nella barra di suo padre ha chiuso per sempre ogni spiraglio di illusione, morbidezza, persino un'immaturità andata in frantumi troppo presto. Ed è successo soltanto un anno dopo aver imbrattato le scarpe della sua migliore amica. Ma questo Sadie non ha bisogno di saperlo, non ancora, perché parlare di quanto un genitore possa aver influito sulle loro vite è un argomento sul quale non ha intenzione di ritornare. Sarebbe anche ora che la smettesse di provare a convincerla a fare il contrario, a chiudere le porte in faccia al suo trauma e convincersi che non abbia alcuna colpa di quello che le è successo: ha una bella faccia tosta a raccomandarle qualcosa che lui non è mai riuscito a fare con sè stesso. < E comunque non credo. Abbiamo superato più di un limite, tra noi, ben più di quello...di una sbronza adolescenziale. E sei ancora qui. > Almeno per ora. Un rischio che lo porta a guardarla con un sopracciglio sollevato, come aspettando un qualunque gesto che possa fargli dubitare che quella situazione sia destinata a perdurare almeno per le quaranta ore che dovranno passare insieme.

    Per fortuna l'alcol scioglie la lingua e la lingua scioglie un nodo dopo l'altro, accavallando una parola sull'altra e portandoli alla deriva. Parlare di sua cugina non è soltanto un monito a ricordarle di stare alla larga da quel cimitero, ma anche uno scampanellio di allarme che inizia a farsi sentire sul fondo della sua coscienza. Qualcosa a cui presto darà un nome ed una ragione, ma che ancora alberga nel suo sguardo come il piglio pensieroso di chi sia stato colto da un dubbio improvviso. Uno che vuole seppellire sotto la mano che va a coprire la propria faccia, stancamente, solo per un attimo.
    Basta sentirsi chiamare a quel modo per farlo scattare nuovamente sull'attenti, tendendo i nervi del collo per guardarla dopo aver negato già con un secco movimento del capo a quello che sta sentendo. < Davvero, non serve...> La frase rimane in sospeso, pemettendogli di formularla al meglio. Più concisa. Intrisa di un concetto che sarà più facile spiegare in questo modo, che con parole che non gli è mai piaciuto sprecare. < Chris > ecco come può chiamarlo. Come lo chiama chiunque riesca a vedere oltre alla sua divisa, a prendersi un attimo di troppo per studiare l'uomo che indossa quella stupida stella piuttosto che rimanerne acciecati. Sono pochi, può contarli sulle dita di una mano ed è tutto ciò che gli basta: non gli è mai servito che vedessero oltre l'uniforme, in quel modo rischioso che hanno le persone di farsi più vicine ed influenzare tutto ciò in cui ha creduto sino ad un attimo prima. Esattamente come ha fatto Sadie Morgan.
    La osserva, non riesce a rispondere immediatamente ma in fondo che senso avrebbe fingere di essere sicuro su una cosa come quella? < Non lo so. Non lo so cosa potresti fare con i tuoi mostri...> Mostri di cui non conosce glorie e infamie, poteri o debolezze. Un gesto della mano porta la bottiglia a sollevarsi in quello che sembra un modo per indicare sè stesso. < Ma...se posso fare qualcosa io, puoi farlo anche tu. E io non passo tra i muri...> Gli esce male, con una nota stonata, amara. Quando ha iniziato a pensare che poter comparire in una stanza attraversando le pareti potesse essere un punto di forza? Certo, gli eviterebbe parecchi ritardi e molti più successi di quelli che ha raggiunto sino ad ora, ma dove finirebbe il limite tra il giusto e l'illecito? Almeno per lui, è meglio che si limiti ad una porta.

    Saltatrice, ha sentito quel nome sulle labbra di Jason ma forse non lo ha memorizzato come avrebbe voluto. Non se lo ricorda e gli sembra un nome talmente idiota, che gli storce la faccia in una smorfia obliqua. Soffia via un breve fischio di sorpresa. < ...sei Sadie, ecco chi sei. Saltatrice? > arrochisce una risata che non riesce ad emergere per davvero, come sempre. Forse colpa del fatto che non sia davvero divertito e quel gioco ha raggiunto il fondo dell'introspezione. Niente più carte coperte sul tavolo. < Forse è quello che sai fare, non chi sei. Sai quando ho capito chi sono? > Ma in quel momento la memoria gli rimanda una stilettata che rischia di annebbiargli la vista e quella verità è destinata a non essere raccontata, non ancora. La sua coscienza vorrebbe in tutti i modi raccontargli di come c'è stato più di un momento, in quei mesi di totale oblio, in cui ha riscoperto sè stesso nel peggiore dei modi. Ma neanche il subconscio potrà nulla contro la magia e quello è anche il momento in cui decide che ne ha abbastanza di giocare. Di stare seduto. Di sentir parlare di vampiri e di vederla riversarsi addosso insicurezze che lui è l'ultima persona a poterle scrollare via, mancante di quella sensibilità che forse renderebbe la pillola meno amara di quanto sia. No, non è un tipo romantico, ma forse è quello che serve a tenere gli argini sollevati ed il fiume al sicuro da quella piena che è la rabbia e la tristezza di Sadie.
    Non lo fa parlando, tentando di cucire assieme parole di conforto in cui farebbe schifo - ammettiamolo - ma può avvicinarla, comunicare in un modo del tutto diverso. Con un sospiro di stanchezza sui suoi capelli, quando il peso della Saltatrice si fa sentire contro il petto. E' calda, sottile, in un modo così piacevole da spingere un leggero fremito a tendere ogni nervo del suo corpo. Sarà il momento in cui afferra la sua mano prima che si ritragga del tutto, aprendo gli occhi sulle dita che ha appena sentito sfiorare la barba scura. La tiene tra la dita, racchiusa nella pelle scura di una mano straniera. Diavolo, non pensa neanche per un istante che quello che stia facendo sia giusto o normale. Persino un imbecille capirebbe che torna a tenere gli occhi serrati, perchè la tentazione di guardarla è forte. Che stringe la sua mano, perchè rischia di voler sfiorare altro, seguire i contorni di un volto che è meglio se ne stia al riparo di quella posizione incerta. Va bene così, finchè può dirsi di non aver passato nessun limite.
    Va bene anche quando Sadie graffia dolorosamente su una parete che ha messo su per il bene di qualcun altro e non per il proprio. Sono stati felici, ha ragione, e suo padre ha sempre avuto un posto in cui tornare. Ma sua madre morirà sola ed allora che cambia quel che c'è stato nel mezzo? < ...forse sono io a non volerlo correre. > a mezzo fiato, mentre la stanchezza prende il sopravvento col passare dei minuti.
    Sarà all'incirca l'ultima cosa che è in grado di risponderle, prima di sprofondare in un breve sonno non privo di sogni. Incubi di sangue, di violenza, di Sadie.
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    Saltatore



    Gli crede. Tendenzialmente non ha motivo di mettere in dubbio le affermazioni dello Sceriffo ed ascoltarlo le piace. Pende dalle sue labbra, è reattiva a ogni suo sguardo e si tende a ogni suo piccolo gesto con un sottofondo di nervosismo che non è affatto sgradevole. La verità è che smania scoprire cosa farà l'istante dopo e si ritrova a desiderare un'altra sua parola e poi ancora un'altra, come se non ne avesse mai abbastanza. Sembra che in quelle quaranta ore voglia recuperare la mancanza di attenzioni che non ha mai avuto nella sua vita. E conoscere qualcuno come non ha mai avuto il coraggio di fare, di farlo avvicinare abbastanza da dargli il potere di farla stare bene, ma anche di ferirla. Non è anche quello che le ha suggerito il Sacerdote?< Si, sono ancora qui > E non intende svignarsela al momento. Ma quello le ricorda anche che invece lui dovrà andarsene, che il tempo che le ha concesso ha una scadenza di una manciata di ore che stanno volando via troppo in fretta. E' inevitabile chiedersi se lo rivedrà ancora, se capiterà accidentalmente o volutamente. Se tornerà qualche volta, magari per un caffè. Per una cena. Per qualsiasi cosa, anche solo per riscuotere una multa non pagata. Ma la sua natura pessimista le sta già dando una risposta che non le piace, la intima a non farsi troppe illusioni. E allora lui non sarà l'unico a nascondere qualcosa. Nel suo caso è il dispiacere, che cela dietro l'orlo del bicchiere che si porta alle labbra. Anche se è vuoto.

    < Chris... > Quel diminutivo le scivola con dolcezza sulle labbra, appena sospirato e con un sorriso a incorniciarlo. E' piacevolmente sorpresa, persino lusingata. E allora fa attenzione a non stropicciarlo quel nome. Anche se lui sembra improvvisamente così pensieroso. O così stanco. Non sa dirlo con certezza. Ma lei è tornata a lavorare di fantasia e fervida immaginazione, pianificando un'altra ennesima illusione. < Ad esempio durante una rapina in banca potrei saltare dentro e cogliere alla sprovvista i rapinatori. Potrei ordinare ai miei mostri di catturarli e di proteggere gli ostaggi. E potrei farli scappare via facilmente > E diventerebbe un'eroina. Acclamata, ben voluta. < Potresti pensare di mettere su una squadra di quelli come me. Sai, come in Suicide Squad. Anche se loro erano i cattivi, ma noi saremmo i buoni. > E quanto entusiasmo c'è nel suo tono, quanto desiderio nel suo sguardo di fare qualcosa che possa renderla orgogliosa di se stessa. Il suo sorriso è così largo, così bello. E così di breve durata: svanisce quasi immediatamente. < Lo so, è una sciocchezza > Lui non avrà neanche bisogno di fiatare per farle notare che è un piano che fa acqua da tutte le parti. < Non possiamo mostrare quello che sappiamo fare, la gente andrebbe nel panico. E sarebbe pure peggio se vedessero dei mostri... > Si morde il labbro inferiore e si adombra, con la tristezza e la delusione che fanno a gara per manifestarsi sul suo viso. < Non farci caso. Sono stupida > Che è un modo per chiedergli perdono per le sciocchezze che lo costringe ad ascoltare. Il suo posto è lì, al Cimitero. A fare la Custode sino alla fine dei suoi giorni. A farsi compatire dai morti e pure dai vivi di passaggio. Che è esattamente chi è < Sadie Morgan > Con una punta di scontento, perchè non le piace esattamente esserlo. < Oh, so aggiustare qualsiasi cosa. Quando faccio i Tour al Cimitero so essere convincente, perchè tutti credono che la mia faccia sia adeguata all'atmosfera > Tetra e triste. Una sorridente non farebbe lo stesso effetto nel raccontare di Marie Laveau. < E so seppellire la gente nel migliore dei modi > Ecco quello che sa fare. Però lei sta aspettando, imbronciata, di sentire la sua ultima verità. Una che resterà taciuta, e di cui lei si dimentica quando si ritrova con la testa sul suo petto e con le dita tra le sue. Che vorrà significare poi quella stretta? Ad impedirle di toccarlo di nuovo? In quante incertezze è in grado di annegare, anche solo per colpa di un semplice gesto. Ma quello che la fa tacere del tutto sono le sue ultime stanche parole. Che le fanno sprofondare il cuore nello stomaco e le fanno sentire il petto pesante come un macigno. Dietro le palpebre, sente gli occhi inumidirsi. E deve stare attenta se non vuole infradiciargli la camicia. Una sola lacrima le sfugge, e quella non farà chissà che danno. La versa per lui, forse per se stessa. O magari per entrambi. Solo quando sentirà il suo respiro farsi pesante e il silenzio prolungarsi troppo, si azzarda a guardarlo. Non può fare a meno di fissarlo, curiosa di scoprire se è accigliato anche mentre dorme o se ha una faccia diversa da quella che è solito mostrare. Potrebbe restare così, e farsi scoprire a fissarlo. Ma anche lei capisce che sarebbe inquietante. Oppure potrebbe tornare ad adagiare la testa sul suo petto. Si dice che vuole restare così ancora qualche minuto. Solo qualche minuto, prima di alleggerirlo del proprio peso e lasciarlo in pace. Dubita di potersi addormentare con la stessa facilità, non va d'accordo con il buon riposo. E invece, forse per colpa dell'alcool, o perchè si sente bene, al sicuro tra le sue braccia, scivola anche lei nell'oblio. E sarà un riposo strano e inaspettato il suo, per la prima volta dopo tanto tempo senza sogni e senza incubi. Senza risvegli bruschi e carichi di angoscia. E le dita, le dita stringono ancora le sue.

     
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